Positivo che le critiche dell’ex leader abbiano smosso così le acque: giusta la reazione dei vertici cantonali, a Lugano resta molto da fare
È stata una settimana di passione per la sinistra ticinese. Le critiche mosse da Nicola Schönenberger, in prima battuta alla municipale socialista di Lugano Cristina Zanini Barzaghi e alla sezione cittadina del Ps, hanno rischiato di accendere un focolaio che avrebbe potuto mandare all’aria anni di laboriosi colloqui e proficui accordi tanto a livello cantonale quanto sui piani comunali. I telefoni hanno squillato, le notifiche sulle app di messaggistica abbondato. Nel dibattito sono intervenuti grandi nomi, fino alle più alte sfere cantonali dei due partiti. Alla fine dal brusio sono emerse le rassicurazioni di Greta Gysin e Fabrizio Sirica: i rapporti restano buoni e l’amicizia è salva.
L’equivoco è stato proprio lì: il timore che dietro alle parole dell’ex leader ci fosse una condivisione su ampia scala e quindi la volontà di inibire l’alleanza per le elezioni cantonali del 2023. Non è così, assicurano i vertici rossoverdi: si sarebbe trattato di opinioni personali. Ma è stato davvero solo un equivoco? Diamo per buono che le critiche di Schönenberger siano effettivamente scaturite dalla sua volontà di levarsi qualche sassolino – leggi: macigno – dalla scarpa nell’addio alla politica. Resta il rumore che queste hanno causato, il brivido di freddo corso lungo diverse schiene. Volente o nolente, ma visto l’acume del personaggio propendiamo per la prima, Schönenberger ha svelato la vulnerabilità di un rapporto che è sì politicamente fruttuoso, ma spesso tormentato. Questa fragilità sarà messa alla prova fra pochi mesi, quando la campagna prenderà ufficialmente il via: il cammino verso aprile 2023 è irto di ostacoli e inciampi, e basta poco. Ce l’ha ricordato la sezione luganese del Ps, parlando di «attacco con conseguenze», l’ha ribadito Gysin, che ha invitato alla prudenza comunicativa sottolineando l’importanza della critica.
Intese come quella rossoverde si muovono su un filo sottile, ne deduciamo. Talvolta questo filo si rompe, come è successo nella Città di Bellinzona alcuni anni fa. Tuttavia, detto molto pragmaticamente, se lo sono potuti permettere elettoralmente parlando. Ma Lugano non è Bellinzona. E si torna al solito discorso: nei contesti più difficili e nelle situazioni più delicate, per portare a casa buoni risultati i personalismi devono essere accantonati in favore dell’interesse pubblico, suggerisce Sirica. E con una sana dose di tatticismo, aggiungiamo noi. Che tradotto, significa fare buon gioco di squadra. E spesso, nella storia di questo cantone, è stato il tallone d’Achille della sinistra. Ma sono gli anni dell’ondata verde, è in atto un rinnovamento generazionale. Le cose sarebbero diverse.
I vertici cantonali dei due maggiori partiti di area hanno dato prova, quantomeno a parole e per il momento, di questa diversità, della capacità di saper guardare a un interesse maggiore. Li aspettiamo alla prova dei fatti. Resta l’incognita Lugano: l’area ha oggettivamente raccolto meno rispetto agli altri poli urbani. È solo una questione di grande forza della destra? La critica e l’autocritica, se costruttive, possono servire: che questa querelle sia l’occasione per una riflessione sensata e per una ripartenza convinta di squadra, se le premesse ci sono.