Putin non è Stalin. Ma comincia ad assomigliargli. Nessuno dei due è Napoleone, ma a risentire il verro di Orwell è difficile non pensare a loro
Luigi Bonaparte non era Napoleone. Ciononostante, lo diventò. Nel 1852, dopo aver dissolto la Repubblica, si fece proclamare imperatore di Francia. Ne risultò un gran pasticcio. Ma soprattutto diede conferma a quel lucido postulato di Marx, secondo il quale "la storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa". Che poi la drammaticità della farsa possa essere paragonabile a quella della tragedia, o che in ogni caso ci siano delle conseguenze disastrose anche in questi brutti remake, l’assioma marxiano non fa una grinza.
Putin non è Stalin. Ma comincia ad assomigliargli. "Si sta trasformando in un dittatore che ricorre, come mai prima, a bugie, violenza e paranoia", si legge sull’ultimo numero di ‘The Economist’. A casa sua ha chiuso i media indipendenti, minaccia i giornalisti con 15 anni di prigione e ha fatto arrestare migliaia di manifestanti contro la guerra.
Dopo la morte di Lenin e l’estromissione di Trotsky, il dittatore russo pretese la collettivizzazione forzata che costò la vita a milioni di persone. Il regime impose un sistema socioeconomico che qui chiameremo ‘sovietico’ (c’è ancora chi crede che ‘comunismo’ sia o possa essere qualcosa d’altro): economia pianificata, repressione e repubbliche vassalle. Putin negli ultimi due decenni è riuscito a consolidare, sempre dall’alto verso il basso, una struttura in cui si mescolano un’economia di mercato capitanata dallo Stato e un sistema "democratico" illiberale (contraddizione in termini brillantemente spiegata da Andrea Ghiringhelli su queste colonne solo qualche giorno fa). Stalin ottenne con la guerra terre e neutralità dalla Finlandia. Putin ci sta provando in Ucraina.
Ci sono poi dei dovuti distinguo, che purtroppo non rendono la situazione meno grave. Scrive il settimanale inglese: "Stalin ha presieduto un’economia in crescita. Anche se in modo omicida, ha attinto a una vera ideologia (sic!). Anche se ha commesso degli oltraggi, ha consolidato l’impero sovietico. Dopo essere stato attaccato dalla Germania nazista, è stato salvato dall’incredibile sacrificio del suo Paese, che ha fatto più di ogni altro per vincere la guerra. Putin non ha nessuno di questi vantaggi. Non solo non riesce a vincere una guerra fatta per scelta mentre impoverisce il suo popolo: il suo regime manca di un nucleo ideologico. Il ‘Putinismo’, qualunque cosa esso sia, mescola nazionalismo e religione ortodossa per un pubblico televisivo. Le regioni della Russia, distribuite su undici fusi orari, stanno già mormorando che questa è la guerra di Mosca". Ecco la farsa, spiegata bene.
Siamo in particolare d’accordo con la conclusione alla quale giunge l’articolo citato: destalinizzare la Russia è un compito della società russa. Per quanto l’Occidente desideri un nuovo governo a Mosca, deve essere consapevole del fatto che non spetta a lui progettarne direttamente uno. Altrimenti il fallimento sarebbe inevitabile.
"Nessun indugio compagni! C’è del lavoro da fare. Oggi stesso incominceremo a ricostruire il mulino, e andremo avanti a costruirlo per tutto l’inverno, con la pioggia e con il sole… E ricordatevi, compagni: i nostri programmi non devono cambiare, essi saranno tutti realizzati nel tempo previsto... Lunga vita alla Fattoria degli Animali!".
Né Stalin né Putin sono Napoleone. Ma a risentire il grugnito di quello di Orwell, è difficile non confonderlo con la voce degli autocrati russi.