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Un po’ meno neutrali (?), Consiglio di sicurezza o no

Non saranno due anni come membro non permanente nell’organo supremo dell’Onu a modificare fondamentalmente la politica di neutralità della Svizzera

La Svizzera è candidata per il biennio 2023-2024, il voto si terrà il 9 giugno all’Assemblea generale dell’Onu
(Keystone)
15 marzo 2022
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Nulla più osta alla candidatura della Svizzera al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Il Parlamento ha riaffermato per l’ennesima volta la sua posizione. Uno stop in zona Cesarini, dopo 11 anni di lavori preparatori e ridondanti dibattiti parlamentari, non avrebbe giovato alla credibilità della Svizzera. In piena guerra, un ripiego sarebbe stato letto anche come un atto di sfiducia nei confronti di un’Onu spesso denigrata, ma della quale oggi c’è forse più bisogno che mai. Non foss’altro che per ricordarci l’esistenza di valori e norme fondanti una ‘comunità internazionale’.

La guerra di Putin ha ringalluzzito l’Udc. Il partito pretende il ritorno a una "neutralità integrale". La ripresa delle sanzioni Ue? Una cesura, l’inizio di una nuova era. Il Consiglio federale avrebbe gettato a mare un modello che ha fatto del nostro Paese un’isola di pace. E per la ‘Weltwoche’ adesso il presidente della Confederazione Ignazio Cassis sarebbe "il politico più pericoloso della Svizzera", giacché "rischia di portare affari altrui nel proprio Paese" se non ferma "l’avventura" dell’adesione al Consiglio di sicurezza.

Sanzioni contro la Russia, seggio al Consiglio di sicurezza dell’Onu: con questa retorica da ridotto nazionale (‘piano Wahlen 2.0’ compreso) l’amalgama è presto fatto, per i distinguo non c’è spazio. E allora sembra pure che la Svizzera si sia schierata dalla parte dell’Ucraina, mentre non fa che stare da quella del diritto internazionale. Il professor Marco Sassoli (Università di Ginevra) l’ha messa in questi termini sulla ‘Nzz’: "Chi vuole impegnarsi contro le violazioni del diritto internazionale – e il Consiglio federale ha detto che lo vuole – non può essere veramente neutrale, questo è il dilemma"; e nel caso di una violazione crassa del diritto internazionale, la posizione di un paese neutrale è ancora più difficile. La stampa internazionale in effetti si è affrettata a enfatizzare "la rottura della tradizione di neutralità" elvetica (‘New York Times’). E il Cremlino non ha esitato a metterci sulla lista dei paesi ‘ostili’.

La Svizzera ‘integralmente neutrale’ che faceva lauti affari col Sudafrica dell’apartheid, o quella che consente alla sua industria bellica di esportare senza troppi vincoli armi in mezzo mondo, ci piace assai meno più di quella – davvero meno neutrale? – che oggi condanna senza mezzi termini l’aggressione dell’Ucraina e si allinea all’Ue sulle sanzioni contro Mosca. Ma non è questo il punto. Il punto è che questa reale o presunta erosione della neutralità avviene con la Svizzera non ancora nel Consiglio di sicurezza. Le cose cambieranno fondamentalmente nel 2023 e nel 2024, quando salvo cataclismi occuperemo uno dei suoi 15 seggi? Non crediamo proprio.

I rischi però esistono. Saremo più esposti alle pressioni di altri Stati; il Consiglio federale sarà chiamato a decidere in poche ore su questioni delicate, come l’adozione di sanzioni; e dovrà anche saperle spiegare, queste decisioni. Ma non sta qui l’essenziale. Il Consiglio di sicurezza funge da guardiano della pace e della sicurezza internazionale: fa da calmiere, non avvia guerre, né è parte in conflitto. Come Stato membro dell’Onu, la neutrale Svizzera già oggi applica tutte le sue risoluzioni. Di fronte a dilemmi insolubili, potrà sempre astenersi. E in un consesso che avrà pure le mani legate nelle guerre più mediatizzate (Siria, Crimea, Ucraina), ma che conserva un discreto margine di manovra in altri scenari, meno visibili ma non meno importanti (come lo Yemen), i tradizionali atout della diplomazia elvetica – buoni uffici, difesa del diritto umanitario ecc. – non potranno che tornare buoni.

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