Il leader della Lega sbeffeggiato dai polacchi che gli mostrano la maglia di Putin che indossò a Mosca. Ma quanto ci vorrà a smascherare tutti gli altri?
Si è presentato come se il passato non esistesse nel luogo in cui il passato ha preso nuovamente forma: la guerra, i morti, i rifugiati. Si è presentato con la consueta faccia da schiaffi e una giacca piena di scritte. C’erano più sponsor su quella giacca che mostrine sull’uniforme del generale Figliuolo, altro personaggio che sembra uscito – come lui – da uno di quei film insieme tragici, comici e feroci che sfornava l’Italia di Risi, Germi e Monicelli. Il generale tutto d’un pezzo con la divisa che è assieme simbolo della sua gloria e sberleffo; e il politicante arruffone, bugiardo, che resta in quota finché azzecca dove tira il vento e poi si schianta quando il vento, alimentato da lui stesso, si trasforma in bufera.
Matteo Salvini, che ha cominciato a cascare dopo la leggendaria estate del "golpe del Mojito", quando provò a prendersi tutto rimanendo con quasi nulla, ha idealmente concluso un’infinita serie di inciampi con un fragoroso tuffo nel fango polacco. Lui che sulla lotta ai profughi e sull’odio verso l’altro (dal coro "Vesuvio lavali col fuoco" a "raderemo al suolo i campi rom") aveva fondato la propria fortuna politica, aveva pensato fosse una buona idea farsi vedere tra i rifugiati ucraini, facendo affidamento – come sempre – sulla scarsa memoria altrui.
C’è voluto Wojciech Bakun, sindaco della città polacca di Przemysl, nome impronunciabile che per molti oggi significa "salvezza", per smascherare – in mondovisione, come si diceva una volta – l’inconsistenza e la mancanza di coraggio di un leader politico capace di scagliarsi contro poveri cristi, spacciatori da quattro soldi denunciati al citofono a favore di telecamera, salvo poi perdere il piglio e la voce quando si tratta di condannare criminali veri, come Vladimir Putin, uno che – parole sue – avrebbe messo come premier italiano al posto di Matteo Renzi, perché "più democratico".
Indossò anche la maglietta con la faccia di Putin, nientemeno che sulla Piazza Rossa: quella stessa maglia gliel’ha fatta ritrovare ieri il sindaco di Przemysl, dandogli un’ultima chance di smarcarsi dal presidente russo: ovviamente non colta. Dall’inizio del conflitto, Salvini ha fatto tutti i giri di parole possibili per provare a dire no alla guerra in senso astratto senza mai nominare Putin o la Russia.
Voleva andare là, mostrarsi – in primis – e poi mostrare solidarietà a un popolo senza condannare chi provoca le sue sofferenze. Ma la guerra schiaccia tutto e tutti, ci obbliga a prendere una posizione, soprattutto a chi fa politica: la sua vera colpa non è stata tanto muoversi in modo ambiguo, ma piuttosto ritenere di poterlo fare senza mai dare spiegazioni a nessuno. A chiedere queste spiegazioni è stato infine un sindaco polacco di un posto che non era nulla e oggi è il centro del mondo.
Salvini sulla Piazza Rossa con la maglia pro-Putin (Youtube)
Salvini, smascherato in modo grottesco, è la versione depotenziata e macchiettistica di chi oggi, insieme al francese Macron, è interlocutore di Putin: il turco Erdogan, l’israeliano Bennett, il cinese Xi Jinping. Il primo massacra i curdi, ridimensiona il genocidio armeno e ha portato il suo Paese indietro di decenni, il secondo è il premier di un Paese che tiene sotto scacco i palestinesi a suon di missili da quando Ucraina e Russia erano ancora Urss, il terzo calpesta il Tibet e gli uiguri, incarcera gli avversari politici, mette il chiavistello alla democratica Hong Kong.
Se davvero c’è bisogno di canaglie per trattare con le canaglie, farle ragionare, lo facciano in fretta, si rendano utili per una volta. Poi arrivi anche per loro, come per Salvini, il giorno in cui qualcuno gli sventolerà impietosamente in faccia una maglietta, le loro nefandezze, i loro silenzi, le loro bugie.
Talvolta basta sedersi e aspettare sulla riva del fiume. Non sempre accade, non con certa gente. Quasi mai accade dove te l’aspetti. Ieri a Przemysl, domani chissà.
Stretta di mano tra Erdogan e Putin (Keystone)