DISTRUZIONI PER L’USO

Media, aiutare l’oste per salvare il vino

Vi risparmio la solfa sui ‘cani da guardia della democrazia’, ma un aiuto ci servirebbe a ripensarci ed evitare certe derive

(Ti-Press)
1 febbraio 2022
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“Non starò più a cercare parole che non trovo / per dirti cose vecchie con il vestito nuovo”. Memore della lezione di Guccini, nel discutere di aiuti ai media vi risparmierò il solito pistolotto su quanto il giornalismo sia importante per la convivenza civile e la vita comunitaria, un ‘cane da guardia della democrazia’ senza il quale sareste condannati al totalitarismo, alle tenebre dell’ignoranza e al degrado più belluino. Mi sembra un ricatto morale – “fuori i soldi e nessuno si farà male!” – e poi sarebbe come se l’oste vi dicesse che il vino è buono, peraltro mentre lo state già bevendo. A dirla tutta, trovo anche piuttosto stucchevole la megalomania di certi colleghi che si vendono come supereroi dell’indipendenza, dell’imparzialità, della Verità con la maiuscola in corpo quarantotto: basterebbe già avere il tempo e i mezzi per essere sempre artigiani onesti e scrupolosi, pur con tutti i nostri limiti e pregiudizi.

(Segue lezioncina da secchione, tenete duro.) La questione del sostegno pubblico ai media privati, prima ancora che politica o culturale, è economica. Come molti altri settori, anche il nostro ha visto trionfare nuovi oligopoli ‘apicali’, un po’ come Amazon nella logistica. Google, Facebook, ma anche certi megagruppi al confine tra editoria e marketing si impongono a un livello molto superiore a quello delle singole redazioni nella catena alimentare del giornalismo, subordinandone il lavoro ai propri interessi commerciali e drenando così – anche grazie alla forza data da montagne di dati personali – tutti gli introiti in circolazione, non solo pubblicitari. Un predominio che confina sempre più giornalisti nel ruolo di tornitori e fattorini per contenuti a cottimo: “Un pezzo un culo”, per dirla con lo stremato Lulù di Gian Maria Volonté.

Tant’è vero che a schierarsi per il no sono i sensali di certi multimilionari arricchitisi in tutt’altri ambiti – dai fast food ai portalini web –, che nei media vedono sostanzialmente due opportunità: fare soldi riducendoli a dei McDonald’s del pubbliredazionale e spingere al contempo la propria agenda politica, spesso vicina all’Udc e difficilmente distinguibile dal tornaconto personale.

Il pacchetto di supporto cerca, per quanto possibile, di metterci una pezza: fornisce uno strumento in più di fronte alla rendita di posizione di certi colossi globali che ormai non stanno sul mercato, bensì lo creano e poi se lo mangiano a loro piacimento, come Crono coi suoi figlioli; e danno una speranza in più contro l’avanzata d’una cricca di pingui populisti nostrani. Una situazione che non c’entra nulla col ‘libero mercato’ e la ‘competizione’, parole d’ordine che inturgidiscono le guanciotte paffute a molti fautori del ‘no’ (spesso miracolati dall’assegnazione di poltrone pubbliche o parapubbliche, sicché di quel capitalismo chimerico sanno poco o nulla). Gli aiuti sposterebbero insomma un po’ di companatico dalla cima ai piedi della scala, per rimpolpare un giornalismo già troppo vulnerabile ai piccoli e grandi potentati del lei-non-sa-chi-sono-io, ai berlusconcini locali che “ora chiamo il tuo editore”, ai parvenu del “se ti pago ti compro”. Qualcosa di peggio, molto peggio del fatto di dipendere da soldi pubblici, la cui redistribuzione non farà peraltro aumentare la spesa complessiva dello Stato.

(Verboso e spocchiosetto, vero? Abbiate pazienza, ora ci metto l’autocritica.) Responsabilità ne abbiamo anche noi, ci mancherebbe. In generale, l’editoria locale stenta a trovare nuovi canali e a parlare a un pubblico diverso: facciamo fatica a nuotare in un mare in cui la concorrenza non è un altro giornale, ma qualsiasi cosa sappia catturare meglio di noi l’attenzione del prossimo, dai podcast alle serie su Netflix. A volte il nuovo ci spaventa e ci chiudiamo a riccio in sterili nostalgie: “Quand’ero giovane io qua erano tutti giornali, signora mia, altro che l’internet”.

Non sempre facciamo bene questo mestiere, e non solo perché siamo di fretta e non possiamo star dietro a tutto: talora – mi ci metto per primo – c’entrano pure sciatteria, pigrizia intellettuale, deformazioni professionali, vecchie ruggini, indicibili narcisismi e malcelata pavidità. E nel nostro mestiere, quando sbagliamo, possiamo fare parecchi danni. “Sporcare in giro”, come ci ricordava sempre Erminio Ferrari.

Per questo è anche giusto che gli aiuti siano misurati e temporanei, non un assegno in bianco ma una stampella, mentre con un po’ d’onestà intellettuale proviamo a rialzarci e ripensarci come si deve. Forse si sarebbero potuti pensare meglio, in modo da aiutare ancora di più i pesci piccoli, ma si sa che queste scelte sono sempre vincolate a dei compromessi. Quanto all’alternativa, la conosciamo già: una prateria solcata dai ruzzolacampo della propaganda e del marketing occulto, dei ‘noncelodicono’ complottisti e dei gattini pucciosi. Un vinaccio che sa di tappo, parola di oste.

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