Il piano quinquennale dell’Udc: ridurre le tasse ai più abbienti e raggiungere l’equilibrio fiscale a suon di tagli. Ipocrisia? No, lotta distributiva
“Entro cinque anni, statene certi, raggiungeremo l’obiettivo”, soleva dire Stalin di fronte al Politburo, ogni volta che presentava un nuovo piano quinquennale. C’era poco da dubitare, a dire il vero, anche perché le conseguenze in caso di un mancato raggiungimento non erano certo leggere. Lo scopo del Partito con questi piani era forzare l’industrializzazione del Paese.
In Ticino invece, ai giorni nostri, l’obiettivo dichiarato di Sergio Morisoli e Paolo Pamini è forzare la parità di bilancio nei conti pubblici entro il 31 dicembre 2025, agendo solo sul fronte delle spese. A questo proposito è stata presentata un’iniziativa elaborata che verrà discussa in Gran Consiglio la prossima settimana. Quanto i compagni dell’Udc abbiano preso dai manuali della Nep (Nuova politica economica) lasciata in eredità da Lenin a Stalin resta un’incognita. Il meccanicismo implicito nella loro proposta sembra però indicare che l’influenza della scuola sovietica sia piuttosto importante. L’intervento prospettato, che inserirebbe un vincolo di legge per garantire il raggiungimento entro cinque anni della parità nei conti, è innanzitutto un modo d’invalidare il ruolo della politica, quindi di loro stessi. Il problema, tra l’altro, non sta solo nel come si pensa di raggiungere l’equilibrio fiscale (che pare sia l’obiezione principale di alcuni esponenti dei partiti di centro), ma anche nell’obiettivo stesso.
Sappiamo tutti che la pandemia ha destabilizzato le finanze cantonali. La frenata dell’economia mondiale durante il 2020 ha evidentemente comportato delle perdite, prima di tutto per i privati (salariati e imprenditori) e anche per la casse dello Stato (gettito). Ora siamo entrati in un’altra fase, quella della ripartenza. Nella discussione intorno allo stato di salute delle finanze cantonali però ciò che soggiace è, da un lato, la cecità ideologica di chi non vuole riconoscere allo Stato la capacità di regolare l’economia attraverso interventi anticiclici (per esempio, accumulando deficit per sostenere la ripresa economica); dall’altro, l’intento dei vari gruppi d’interesse di addossare ad altri i costi subiti a causa del Covid. A questo ultimo proposito è interessante notare come i proponenti del ‘quinquennio di ferro’ siano gli stessi che sostengono l’iniziativa liberale di sgravi ai ricchi. Il potere economico e i suoi rappresentanti politici, insomma, stanno spingendo per ridurre le tasse ai più abbienti e, contemporaneamente, per raggiungere l’equilibrio fiscale entro la fine del 2025 a suon di tagli. Ipocrisia? No, si chiama lotta distributiva.
Ora la palla è nel campo del parlamento. Ci sono, si vuol credere, alcuni indizi incoraggianti di fronte a tanta insensatezza: il presidente del Ppd, Fiorenzo Dadò, ha scritto sulle colonne di questo giornale qualche settimana fa che il suo partito non è disposto a “vendere l’anima al diavolo”, mentre in Gestione i Plr Natalia Ferrara e Matteo Quadranti non hanno sottoscritto il rapporto Pamini.
Forse i nostri granconsiglieri ricorderanno che nell’ex Urss con i piani quinquennali venivano stabiliti degli obiettivi esclusivamente quantitativi. Si arrivava così al paradosso raffigurato dal chiodo di acciaio delle mille tonnellate. In Ticino lo scenario per la fine del 2025 potrebbe essere altrettanto ridicolo. Con l’aggravante che a restarci appeso sarebbe il tessuto socioeconomico di questo Cantone.