La mancata informazione da parte del governo al parlamento dell'entrata in vigore delle nuove regole nell'Amministrazione lascia basiti e solleva interrogativi
La vicenda ha dell'incredibile. In ogni caso dell'inammissibile. Da qualche anno il Gran Consiglio è alle prese con il delicatissimo tema delle molestie sessuali e del mobbing nell’Amministrazione cantonale dopo il caso giudiziario dell’ex funzionario del Dipartimento sanità e socialità riconosciuto colpevole di reati sessuali a danno di una ragazza - la sentenza è ora definitiva. Ci sono le scuse alle vittime formulate a nome dello Stato dal giudice di primo grado, ci sono dibattiti e numerosi atti parlamentari. C’è chi ha chiesto l’istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta, bocciata dal Gran Consiglio. Istanza poi rinnovata in seguito alla sentenza d’Appello che riconosce il già collaboratore del Dss colpevole non solo di coazione sessuale, ma pure di violenza carnale.
Nonostante tutto questo, il Consiglio di Stato non ha ritenuto di avvisare il parlamento di aver elaborato e posto in vigore - il 1. luglio di quest’anno - una Direttiva contro le molestie sessuali e il mobbing nell’Amministrazione. Di quei 21 articoli, che rimpiazzano la decina piuttosto scarna introdotta nel settembre 2003, i deputati sono stati informati venerdì scorso dalla ‘Regione’. Il primo a cadere dal pero è stato Michele Guerra, presidente della sottocommissione che sta trattando la richiesta bis di istituzione di una Cpi. E il disappunto manifestato da Guerra è senz’altro condivisibile.
Una sgarbo istituzionale, c’è poco da dire. Involontario? Sia come sia è legittimo chiedersi se il governo cantonale non decida e agisca con le porte e le finestre blindate. E perché il cancelliere dello Stato, il cosiddetto sesto consigliere, non ha considerato opportuno sollecitare i cinque ministri a trasmettere quella Direttiva al Gran Consiglio, affinché fosse agli atti della sottocommissione?
E a questo punto le possibilità sono due: tale silenzio o è figlio di un grande imbarazzo da parte del Consiglio di Stato nel trattare pubblicamente il tema delle molestie dopo quanto avvenuto, o è una clamorosa leggerezza. In ogni caso siamo di fronte a un silenzio ingiustificabile. Perché l’imbarazzo, innanzitutto, non avrebbe alcuna ragione di esistere nel caso in cui non ci fosse alcun timore che le richieste di audit esterni (con domande e valutazioni esterne, non a gestione interna) o di Cpi possano portare a esiti preoccupanti. E perché, nel caso in cui fossimo confrontati con una leggerezza, la domanda su come in Consiglio di Stato (e in Cancelleria) interpretino il dialogo tra diversi livelli istituzionali si pone con forza. È sul loro tavolo che sono giunte, da tempo, interrogazioni, interpellanze, mozioni sul tema abusi. Erano seduti al loro posto nell’aula del Gran Consiglio quando le discussioni generali, i botta e risposta sull’istituzione della Cpi e i dibattiti sulle risposte ad atti parlamentari (in alcuni casi non-risposte) hanno avuto luogo. Stabilire nuove direttive, vincolanti, che comportano un discreto passo in avanti rispetto alle vetuste e desuete direttive di ormai quasi vent’anni fa e non informare il Legislativo viene osservato, da fuori, con preoccupazione.
Perché il vero sgarbo è stato fatto nei confronti della cittadinanza. Con il coinvolgimento emotivo che ha avuto l’opinione pubblica sul tema molestie e mobbing, sarebbe stato lecito aspettarsi la convocazione di una conferenza stampa per illustrare le novità davanti a taccuini, telecamere e popolazione. La scelta è stata non informare nemmeno i suoi rappresentanti in Gran Consiglio. Una scelta grave e che lascia basiti.