Commento

La Guerra Fredda riscaldata

Telefoni rossi, muri e le liti su Cuba a colpi di 'imperialisti' e 'comunisti'. Il mondo diviso in blocchi torna di moda come la musica anni 80

Don Camillo e Peppone, la Guerra Fredda nel tinello (Wikipedia)
17 luglio 2021
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Sono tornati tutti, uno a uno, Karate Kid e Luca Carboni, Twin Peaks e le All Star, i dischi in vinile e la salopette. Finché è un film basta non vederlo, finché è un vestito basta non comprarlo. Ma se torna di moda – come se fosse un gelato dell’infanzia o una cintura da paninaro – la Guerra Fredda, come fai? Se la riscaldano, una cucchiaiata tocca a tutti, costretti a ingoiare un altro po’ di Secolo Breve, dato per morto con il crollo del Muro di Berlino e delle Torri Gemelle, la fine di Castro e della Carrà. E che invece non se ne va mai.

L’hanno deciso politici, generali, avventori da bar col fiasco in mano e commentatori da salotto tv col fiasco in camerino, spesso interscambiabili. Un buono psicologo o anche solo un amico avrebbe consigliato ai teorici del “si stava meglio quando si stava in guerra” di comprare dei soldatini di cowboy e indiani e filare in cameretta. Oppure mettere su uno di quei videogiochi che ora vanno di moda, da “Tropico” in poi, dove puoi fare il dittatore della Repubblica di Bananas, il presidente pacifista che spende tutto in istruzione e smantella l’esercito o l’interventista che bombarda non solo Baghdad e Kabul, come ogni guerrafondaio che si rispetti, ma – se gli gira – anche la Torre Eiffel, Ginevra e il salotto del vicino.

Sarà che nell’epoca dei social i veri amici scarseggiano e gli psicologi faticano a dire “no” a chi ha troppo potere o troppo ego, ma siamo tornati al telefono rosso, che Washington vuole ripristinare, non più con Mosca, ma con Pechino, come in quei sequel cinematografici in cui uno dei protagonisti principali è sparito per qualche motivo e si spera che il nuovo lo rimpiazzi al meglio. Se funziona, ecco altri trent’anni di tensione, film di spionaggio, accuse transatlantiche e un cattivo da odiare, tra l’altro comodissimo per giustificare ogni nostra nefandezza. Se va male proveremo a fare i cowboy con gli indiani, quelli veri, non quelli battezzati da Colombo. E si riparte.


Gorbaciov e Reagan a Ginevra, nel 1985, in piena Guerra Fredda (Keystone)

Ci ritroviamo così con Paesi che costruiscono muri trent’anni dopo aver abbattuto quello che li simboleggiava tutti. Abbiamo Putin sostenuto da un’iconografia staliniana e avevamo Trump che sembrava uscito da un fumetto visionario degli anni del Maccartismo. Ora c’è Cuba in subbuglio e i nostalgici della Guerra Fredda che rispondono con un riflesso pavloviano: “Comunisti!”, “Imperialisti!”, “Castro eroe!”, “Castro criminale!”. Il mondo diviso così, con l’accetta, ci spaventa meno perché ci spaventa di più e per paradosso ci rassicura. Ci fa stare buoni. Noi di qua, voi di là, come in quei giochi da bambini facili facili, alla rubabandiera e palla prigioniera.

La società liquida richiede troppo impegno per capirla, anche se ci nuotiamo dentro. Si preferisce mettere un divisorio nell’acquario e fare la faccia cattiva a chi resta oltre. L’Impero celeste è la nuova Armata rossa, i musi gialli sono il nuovo uomo nero. “Non abbiate paura”, diceva Papa Wojtyla quando c’era il Muro, quello vero. Ora, nei comizi locali come alla Casa Bianca, rende molto più urlare il contrario: “Abbiate paura”.

Tutti a chiedersi se la capitale del nuovo ordine mondiale sarà Washington, Mosca o Pechino. Ma la capitale c’è già: è la Brescello di Guareschi, di qua Peppone, di là Don Camillo. In mezzo tutte le sfumature di un mondo che chi lo guida e chi ce lo spiega hanno deciso di ignorare. Insomma, arrivano i nostri, anche se nessuno li aveva chiamati.


Fidel Castro ancora oggi in bella mostra sui palazzi dell'Avana (Keystone)