Il mondo virtuale sa nutrire l'autostima di milioni di adolescenti, alcuni poi nella vita reale faticano ad adattarsi
Stanno reclusi nelle loro stanze, attaccati a computer, Xbox o smartphone, prediligono la realtà virtuale a quella reale, coltivano gli amici soprattutto sui social e si sentono al massimo quando ‘indossano’ un avatar, come una seconda pelle, dentro giochi virtuali, studiati per farli restare incollati allo schermo. Più ci stai, più hai voglia di starci e perdi la nozione del tempo. Il meccanismo, come ci spiegano due esperti sulla Regione, è perverso e spesso i genitori lo ignorano. Alcuni videogiochi sono studiati per innescare un effetto dopamina, noto anche come ‘l’ormone della ricompensa‘. Tanto per capirci è lo stesso meccanismo compulsivo, di azione e ricompensa molto ravvicinati, che entra in azione quando si vince alle slot machine e non basta mai. Altri videogiochi ti permettono di creare un mondo ideale, dove essere onnipotente, una sensazione che ai ragazzini piace tantissimo. Lo dicono chiaramente, si sentono più apprezzati nella rete (magari perché sono i più bravi ad uccidere il nemico) che nella loro quotidianità. Il mondo virtuale nutre l’autostima di milioni di adolescenti. Una consolazione pericolosa per alcuni che rischiano di perdersi.
Scivolare dall’uso all’abuso è facile, soprattutto quando si è molto giovani e nessuno mette dei limiti, ad esempio sui tempi di gioco. Sempre più famiglie vanno dallo psicologo, non sanno più come gestire adolescenti che non si staccano dal videogioco (che sia Fortnite o Call of Duty o altro) quando la madre li chiama a cena. Quotidiani bracci di ferro che finiscono con crisi isteriche, ma anche (ahimé!) insulti e schiaffi al malcapitato genitore, che esasperato arriva a staccare la spina del gioco. È l’adrenalina che gira nel corpo a farli andare fuori di testa. Il cervello dei ragazzi viene ripetutamente e in modo continuativo super attivato da questi giochi, come fossero in costante allerta per un pericolo. Pentole a vapore che poi si scaricano sul primo che arriva. Inoltre, potendo giocare anche in squadra c’è la pressione del gruppo, che non si vuole deludere. Vien da dire, quasi diabolico, per il controllo che questi giochi hanno sulle menti degli adolescenti.
C’è chi riesce a gestirsi, e chi per giocare ruba tempo al sonno, ai compiti, agli amici; inizia ad addormentarsi in classe, i voti peggiorano. Spesso il diretto interessato non riconosce di avere un problema, anzi diventa scontroso.
Gli esperti raccomandano di non permettere ai figli di avvicinarsi ai ‘videogame’ prima dei 10 anni, fissare severe regole sugli orari da dedicargli, fare da filtro verso ciò che vivono virtualmente, non lasciarli soli, anche perché in queste piattaforme i bambini possono venire adescati da pedofili. È già successo in Svizzera.
Come società dovremmo chiederci perché permettiamo che le menti dei giovanissimi vengano nutrite con tanta violenza. Anche se non necessariamente si vede sangue, l’eroe dei videogiochi è sempre chi uccide tutto quello che si muove. C’è sempre un nemico da distruggere. C’è il mio clan, il mio gruppo contro gli altri. Emozioni distruttive che alimentano menti claustrofobiche: sapranno far germogliare altruismo e tolleranza? Eppure siamo tutti connessi, senza gli altri non siamo nulla. I vestiti, il cibo, l’auto, lo smartphone, la playstation... tutto dipende dagli altri, che lo creano, lo trasportano, lo vendono ... Ci vuole una mente aperta e lungimirante per vederlo e agire di conseguenza.