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Riforma delle tutorie, la politica ora acceleri

La riorganizzazione basata sulle Preture di protezione è necessaria e urgente, pensando 'alle parti deboli della società' e alle conseguenze della pandemia

2 febbraio 2021
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A proposito di priorità della politica ticinese, ce n’è una riconosciuta come tale da anni, ma finora non concretizzata da governo e parlamento. È la (nuova) riforma del settore delle tutele e delle curatele, affinché lo Stato possa decidere e applicare in tempi ragionevoli adeguate misure nei confronti di persone che necessitano di particolare protezione, in quanto per esempio incapaci di provvedere ai propri interessi. Una riforma che si impone alla luce delle accertate difficoltà operative in cui si trova gran parte delle Arp, le attuali autorità di protezione, che sono regionali e gestite dai Comuni. Ma che si impone anche in considerazione di un aumento assai probabile dei casi per le conseguenze economiche e sociali della pandemia. Ieri il Dipartimento istituzioni ha presentato ufficialmente e posto in consultazione un progetto di riorganizzazione, che contempla la ‘cantonalizzazione’ delle competenze e il passaggio dall’odierno sistema amministrativo, incentrato sulle Arp, a quello giudiziario, basato su apposite preture: le ‘preture di protezione’, nelle quali un magistrato – il pretore di protezione – e specialisti in psicologia e in pedagogia valuteranno, insieme, i provvedimenti da adottare. Ci sembra una valida proposta: le premesse per soddisfare anzitutto i criteri fissati dal diritto federale ci sono tutte. Secondo i calcoli del Dipartimento, il Consiglio di Stato dovrebbe licenziare il messaggio all’attenzione del Gran Consiglio ancora prima dell’estate. Gobbi e collaboratori prevedono per il 2024 l’attuazione della riforma. Per rispettare questa scadenza il parlamento dovrà però spingere sull’acceleratore, anche perché l’ultima parola l’avrà il popolo dato che il modello organizzativo prospettato richiede, per entrare in vigore, una modifica della Costituzione cantonale.

La riforma urge e al riguardo le considerazioni del presidente della Camera di protezione del Tribunale d’appello, che vigila sulle Arp, sono chiare. Le Autorità regionali di protezione, ha dichiarato il giudice Lardelli lo scorso novembre alla ‘Regione’, sono “in una situazione di affanno che speriamo possa cessare presto con la riforma proposta dal governo. Più che altro perché lavorando in queste condizioni le decisioni prese dalle Arp possono non essere quelle giuste, o addirittura non esserci del tutto. Il problema è che in questo modo si rischia di fallire l’obiettivo della legge: quello di proteggere le parti deboli della società”. Come anziani e minorenni. E sono spesso le persone delle classi meno abbienti ad aver bisogno di misure di protezione. Senza dimenticare che provvedimenti quali “le curatele, le tutele, i collocamenti o la privazione dell’autorità parentale” incidono sulle libertà personali, ha ricordato la direttrice della Divisione giustizia Andreotti. Occorrono allora decisioni, oltre che tempestive, di elevata qualità. E che siano riconosciute anche all’estero, se la controversia ha carattere internazionale. Ciò che non avviene con le decisioni delle Arp, essendo autorità amministrative e non giudiziarie. Considerato tutto questo, il Gran Consiglio dovrà accordare all'esame del messaggio governativo una corsia preferenziale. D’accordo, il tema è complesso e i limiti di un parlamento di milizia sono sempre più manifesti. Ma alta è la posta in gioco. Oltretutto nel 2023 ci saranno le elezioni cantonali, con un rinnovo dei poteri che potrebbe posticipare la realizzazione di una riforma che concerne le “parti deboli della società”. E che pertanto è prioritaria.

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