La scuola a distanza non potrà mai sostituire la scuola in presenza, ma almeno dovrebbe dare ai ragazzi una struttura chiara e la possibilità d'interagire
La scuola a distanza non potrà mai sostituire la scuola in presenza. Lo ha detto qualche settimana fa il direttore del Decs, Manuele Bertoli, e siamo d’accordo con lui. Bertoli aveva anche spiegato, in un incontro alcuni anni fa, che il concetto di ‘obbligo scolastico’ sancito dalla legge implica doveri per entrambe le parti: per le famiglie di mandare i figli a scuola e per lo Stato di garantire a tutti la possibilità di frequentarla. Questi doveri sono stati adattati alle circostanze attuali in cui, per prevenire la diffusione del coronavirus, le autorità hanno disposto la chiusura di tutti gli istituti scolastici. È dunque entrata in scena la ‘scuola a distanza’, contraddistinta dalle Medie in su dall’utilizzo di strumenti tecnologici per consentire a docenti e allievi di rimanere attivi. Con tanto di piattaforma e canale chat, messi a disposizione in tempi piuttosto celeri dal Centro di risorse didattiche e digitali del Decs, la situazione alle scuole medie però lungi dall’essere soddisfacente: molte sedi (sarebbe scorretto dire tutte) hanno adottato un modello piuttosto discutibile che oserei chiamare ‘la non scuola a distanza’. Questo approccio contempla la possibilità per ogni docente di decidere le proprie modalità d’insegnamento: c’è chi fa le videolezioni, c’è chi non le fa, c’è chi le fa regolarmente seguendo l’orario scolastico di base, c’è chi le fa ogni tanto. Ci sono alcuni maestri che danno dei compiti con delle scadenze fisse, altri che chiedono di svolgere i lavori e conservarli. Perlopiù ciò che succede è che viene caricata sulla piattaforma ‘moodle’ una mole piuttosto cospicua di compiti di ogni tipo, e ci si affida alla capacità dei ragazzi di autogestirsi. Gli insegnanti poi si mettono a disposizione sulla chat per rispondere ad eventuali domande.
Cos’è che non va? Provo a spiegarlo attraverso l’esempio di un gruppo di amici, insegnanti della piccola scuola Steiner di Locarno, che si sono trovati, anche loro, con la sede chiusa a metà marzo, ma senza un centro di sviluppo informatico a disposizione. In pochi giorni sono riusciti lo stesso a mettere in piedi una piattaforma simile a ‘moodle’. Ma la cosa importante è che, al di là degli strumenti tecnologici, hanno definito una forma di scuola a distanza basata su dei criteri indispensabili: struttura, ritmo e condivisione. Gli allievi hanno ricevuto un vero orario di scuola virtuale, tutti i giorni un paio d’ore. Sono state distribuite le videolezioni tra i vari colleghi e sono andati avanti, non solo con i lavori di consolidamento, ma anche con nuovi argomenti. I ragazzi si sono abituati velocemente e, ad oggi, lavorano con entusiasmo in questo nuovo ambito. Perché? Perché nonostante le grosse difficoltà, rispetto alla scuola presenziale, hanno ritrovato delle certezze: matematica il lunedì dalle nove alle dieci, italiano il martedì, storia il venerdì, eccetera. Hanno anche i compiti da fare in modo individuale, ma questi scaturiscono dal momento collettivo. È tutta qui la grande differenza: pretendere dai giovani, come avviene alle Medie cantonali, un’autogestione assoluta del tempo è, in qualche modo, venire meno alla propria responsabilità di garantire a tutti la possibilità di “frequentare” la scuola. Si tratta, in pratica, di una modalità che può funzionare finché un adulto sia sempre pronto ad affiancare il proprio ragazzo. Là dove questa figura non c’è (perché entrambi i genitori lavorano per esempio) i giovani sono fortemente penalizzati.
A dire il vero penalizzati sono tutti. L’apprendimento a scuola è un processo che si basa su certi presupposti: uno spazio, una struttura oraria, delle figure competenti e un gruppo classe. Pure questo ultimo aspetto è stato trascurato dalla scuola media (dove, ricordiamocelo, ci sono gli adolescenti con enormi bisogni di socialità): il modello scelto porta a un’individualizzazione quasi totale del lavoro e quindi alla chiusura dei ragazzi su sé stessi. Proprio in un momento in cui ci tocca stare chiusi in casa. Gli incontri virtuali, chiaro, non hanno lo stesso valore degli incontri veri. Ma dare la possibilità ai giovani di “vedersi” tutte le mattine in “classe”, anche se tutto questo avviene attraverso uno schermo, andrebbe nella direzione di rafforzare il sentimento di appartenenza a un gruppo. Purtroppo però, allo stato attuale, ciò non accade.
Nei prossimi giorni il dibattito si concentrerà soprattutto sulla convenienza o meno di riaprire le scuole dell’obbligo l’11 maggio. Se si riparte, l’esperienza della scuola a distanza alle Medie resterà un’occasione un po’ sprecata. Se invece non si dovesse tornare a breve nelle aule, sarebbe opportuno che le autorità rivalutassero il modello e dessero delle direttive chiare, valide per tutti.