Il partito di Christoph Blocher affronta la campagna elettorale col fiatone e a corto di temi
Ci risiamo. Manca poco alle federali, e l’Udc torna a riscaldare la minestra del “sentimento di (in)sicurezza”. Lo ha fatto la scorsa settimana nientemeno che con un “documento strategico”: si intitola ‘Criminalità e sicurezza’ e dovrebbe fungere da viatico in una campagna elettorale che il partito – reduce nell’ultimo anno da una scoppola dietro l’altra nei cantoni – affronta col fiatone. Col fiatone, e a corto di temi.
Migrazione e asilo non “tirano” più. L’accordo quadro con l’Ue – clinicamente morto, per giunta – è nel mirino di tutti o quasi. Sui temi che stanno a cuore a una fetta crescente dell’elettorato – dall’esplosione dei premi di cassa malati al futuro del sistema previdenziale, dalle esigenze di una popolazione vieppiù urbana (mobilità sostenibile, politica culturale ecc.) alla parità di genere – il partito ex agrario non sembra avere granché da dire. E se continua a denunciare l’“isteria climatica” degli avversari, rischia di allontanare dalle urne una parte del suo zoccolo duro: quei contadini che vivono sulla loro pelle gli effetti dei mutamenti climatici e che infatti non mancano di criticare i vertici democentristi per la sufficienza con la quale (non) affrontano una questione diventata ineludibile.
Ecco allora cosa non ci si (re)inventa per tentare di galvanizzare la “base”: “La Svizzera non è più un Paese sicuro”; anziani e donne non osano più uscire per strada di notte, dicono il presidente Albert Rösti e i suoi. Bisogna evitare che il Paese – alle prese con un’“eccessiva” immigrazione – si incammini verso “uno stato d’anarchia” e diventi un “eldorado di criminali di ogni tipo”. Le cifre: il 60% delle persone accusate di violenza sessuale sono di origine straniera; preponderante è pure la quota di stranieri nei casi di violenza domestica; e in generale la percentuale di stranieri incriminati nel 2018 è cresciuta del 4%. La conclusione: i migranti fanno il 25% della popolazione, ma sono “largamente sovrarappresentati” tra i criminali.
Difficili da interpretare, le statistiche sulla criminalità – soprattutto quelle riguardanti gli stranieri – si prestano a essere manipolate. L’Udc così ha buon gioco nel costruire la sua tesi a partire da qualche dato estrapolato dalla Statistica criminale di polizia dell’Ufficio federale di statistica. In realtà, il colore del passaporto non conta quasi nulla. Come bene ha mostrato tra gli altri André Kuhn, professore di criminologia alle Università di Neuchâtel e Losanna, i fattori che generalmente spiegano la criminalità sono sesso, età, statuto socioeconomico e livello di formazione; la nazionalità entra in gioco solo come ulteriore variabile, e limitatamente per chi proviene da Paesi in guerra. In altre parole: il profilo tipo del criminale è quello di un uomo, giovane, non abbiente e con un basso livello di formazione. E siccome la popolazione migrante è fatta per lo più – ovunque, non solo in Svizzera – di individui del genere, è logico che sia più criminogena di quella residente. Non ha alcun senso, perciò, paragonare in generale “stranieri” e “svizzeri” (Kuhn: “Se si paragona il tasso di criminalità degli stranieri a quello dei nazionali dello stesso sesso, della stessa fascia d’età, dello stesso livello socioeconomico e formativo, la differenza tra nazionali e stranieri scompare”).
Il ragionamento non sarà facile da capire. Ma serve a smontare tesi costruite ad arte, che gettano fumo negli occhi e basta. Senza dimenticare che: da anni assistiamo a un calo della criminalità in Svizzera (lo indica la Statistica di cui sopra); gli arrivi di migranti e le domande d’asilo non sono mai stati così pochi da una ventina d’anni a questa parte; e presto chiuderà il primo, sottoccupato centro federale per richiedenti asilo “problematici”.