Non posteggiarli in appartamento ma aiutare i giovani rifugiati a formarsi e inserirsi nel mondo del lavoro così da non dipendere dagli aiuti sociali
Dessie è scappato dall’Eritrea e vive a Lugano, da settembre si alza alle 5.30, prende il treno per Cadenazzo dove lavora al magazzino dell’associazione benefica Tavolino Magico. Tre giorni in azienda e due a scuola. Il suo obiettivo è diventare magazziniere. «Prima dormivo fino alle 10 e il tempo non passava mai. Ora ho una possibilità di formarmi e non voglio perderla», racconta il giovane alla ‘Regione’. Come lui, altri 49 rifugiati hanno iniziato a settembre un pretirocinio di integrazione. Dodici mesi per imparare italiano, matematica e attitudine al lavoro prima di iniziare un apprendistato vero e proprio. I costi sono coperti da Confederazione (il 60%) e Cantone. Lo scopo è formarli, integrarli e renderli finanziariamente autonomi grazie a una qualifica di base. Una cosa è certa, chi viene da Siria, Afghanistan o Eritrea rischia di rimanere a lungo in Svizzera. Invece di lasciarli depositati come pacchi in appartamenti di periferia a fare muffa e vivere di assistenza, la Svizzera investe nella loro formazione. La sfida è inserirli soprattutto in quei settori dove l’economia fatica a trovare manodopera locale per non creare concorrenza interna. Nei prossimi anni avremo rifugiati impiegati come assistenti di cura nelle case per anziani e nelle strutture sanitarie, come muratori o magazzinieri, come braccianti ma non solo nell’agricoltura, come addetti di cucina nella ristorazione.
Un anno di pretirocinio di integrazione basterà per farli accedere all’apprendistato? Questo è tutto da vedere perché gran parte dei rifugiati assegnati al Ticino ha un livello di scolarizzazione molto basso e spesso non sa come studiare. Se ne sono accorti all’Ufficio della formazione continua, infatti il responsabile Furio Bednarz spiega a pagina 2 che i manuali degli apprendisti sono troppo complessi e per evitare un eventuale ‘rigetto’ va pensato materiale didattico per i rifugiati con un lessico più semplice.
Intanto quasi tutti i 40 rifugiati in formazione sembrano aver trovato una sistemazione in azienda. Un posto che dovranno sapersi tener stretto dimostrando responsabilità.
La via imboccata dalla Svizzera è importante perché i giovani sono risorse da valorizzare e non da lasciare parcheggiati come roba vecchia, come cittadini di serie B o C. Alcuni di loro resteranno nel nostro Paese, altri torneranno a casa loro ma saranno formati. Una scelta di responsabilità. Infatti non sappiamo cosa può covare chi vive nell’ozio forzato, sradicato da casa, senza prospettive, con tanto tempo per rimuginare. Il lavoro è una porta di entrata nella nostra cultura, crea legami e amicizie annullando la diversità.