Più cadi, più sei stigmatizzato. Don Paolo Solari ha messo il dito nella piaga, quando sulla ‘Regione’, qualche giorno fa, riferendosi al 40enne Ignazio morto asfissiato in uno scantinato a Massagno, ha detto: «Non tutte le persone che si trovano in questi disagi accettano di essere aiutate, dato che alcune si trovano ai margini, oltre che della società, anche della legalità». Nessuno in Ticino sa dare un volto alla precarietà, che si annida là dove l’occhio dell’autorità non arriva: sale d’attesa di stazioni, autosili, case abbandonate e non... dalle 2 alle 5 di mattina, fungono da dormitori per improvvisati ‘barboni’, che di giorno diventano invisibili. Spesso sono cittadini europei che cercano lavoro o hanno deragliato dai binari della loro vita. Invisibili nelle statistiche, ma visibili in città. Quando ci scappa il morto, la politica si indigna, inizia a vedere (finalmente) ciò che ha sotto gli occhi tutti i giorni. Ma purtroppo si dimentica anche velocemente. È stato così per Marta, la giovane ecuadoriana morta a Bellinzona nel 2008 asfissiata nel tentativo di riscaldarsi dentro un furgone. Una brutta storia che ha tolto il sonno a molti. Eppure, ci sono voluti otto anni, tanta pazienza e altrettanta tenacia, per mettere le basi (anche grazie all’attuale Municipio e un donatore) per un centro di accoglienza nell’ex stabile Ostini sul modello di Casa Astra (da cui è partita l’idea nel 2012). A casa Marta non solo alloggi di emergenza, ma un’impresa sociale come Casa Astra, per offrire agli ospiti attività di lavoro, momenti di svago e riflessione, in rete con enti, Comuni, per non isolare chi è in difficoltà. Ebbene, tra ricorsi e faticose discussioni, spesso condite da pregiudizi, è stata appena depositata la domanda di costruzione. Ma che fatica! Tempi biblici anche a Lugano, dove fra Martino Dotta, da 15 anni, cerca di creare un dormitorio aperto a tutti; alla sua mensa mangia una quarantina di poveri ogni giorno. Mica pochi. Lui commenta: «Il Cantone non aiuta i non residenti in difficoltà, non riconosce che c’è un problema, spesso sono cittadini europei, con diritto di transito e presenza. Sono qui e la questione va affrontata. Non si può sempre aspettare il morto». Per chi è senza permesso, l’autorità prevede aiuti lampo: alloggio, cure sanitarie di base, cibo, rimpatrio. Di conseguenza, devono subentrare strutture come Casa Astra: 25 posti letto (occupati soprattutto da residenti) che non bastano. È l’unico vero centro di prima accoglienza in Ticino, gestito dal Movimento dei senza voce, aperto nel 2004 (poi ampliato) e finanziato in parte dal Cantone: ospita chi ha bisogno (svizzeri o stranieri) di un posto dove dormire, lavarsi, essere ascoltato e aiutato. Una struttura nata nell’ombra, che in 12 anni è diventata un punto di riferimento e gode del sostegno di Comuni, parrocchie, enti privati del Mendrisiotto. Bravi, davvero! Ma resta l’unica struttura. La storia di Casa Astra dimostra che chi cresce nell’ombra può farcela; chi segue la via istituzionale si impantana facilmente in lungaggini burocratiche, ricorsi, pregiudizi… e intanto le persone, come Ignazio, muoiono di indigenza in uno scantinato. Questa è civiltà? Non si nasce disperati, lo si diventa a suon di sconfitte, che possono rinchiuderti in un guscio così impenetrabile da allontanarti da tutto e tutti. A questa povertà va aggiunta quella ufficiale: due residenti a settimana in Ticino restano senza alloggio e vengono collocati in pensioni, erano 119 nel 2014. Persone sfrattate, in fase di separazione o con problemi di dipendenze. Almeno loro vengono aiutati. E gli altri?