Per soia e mais perdite fino al 70%. Dal Mendrisiotto alla Riviera, coltivatori frustrati: ‘Non è più sostenibile’. Ora si testa l’odore del predatore
Cervi, cinghiali e caprioli alla ricerca di nutrimento scendono lungo i versanti e si avvicinano sempre più alle zone edificate e coltivate, come il Piano di Magadino, un tempo corridoio di spostamento degli ungulati, oggi sempre più un’area attrattiva per il loro sostentamento, ricca di cibo e alimenti di facile approvvigionamento. Dal Mendrisiotto al Piano di Magadino fino in Riviera cresce la frustrazione di viticoltori e coltivatori costretti a fare la conta quotidiana dei danni provocati dalla voracità di cinghiali e cervi, non singoli intrepidi esemplari ma interi branchi che approfittano della notte per pascolare sui campi coltivati: recinzioni divelte, balle di foraggio violate, colture depredate e alberi da frutto scortecciati e quindi destinati a deperimento, uva razziata.
«Quest’anno nessuno è stato graziato. Non si sa più a che santo votarsi», commenta Omar Pedrini. Il presidente dell’Unione contadini Ticinesi, foto e video alla mano, ci mostra come mandrie di cervi hanno fatto razzia di prodotti sul Piano di Magadino. «Abbiamo colture di mais, soia, patate, carote e prati devastati dai cervi che li attraversano correndo, distruggono serre e coperture, mangiano i prodotti. Vediamo gli ungulati aumentare a dismisura, sono diventati stanziali sul Piano di Magadino, dove i coltivatori registrano perdite fino al 50%». Nel Mendrisiotto non va meglio: «Da agosto abbiamo perso 800 quintali di uva a causa di cinghiali, cervi e caprioli». Danni che il Cantone risarcisce ai coltivatori. «Non si lavora per farsi risarcire. Ci sono agricoltori che pensano di rinunciare a coltivare mais, patate, carote. Dobbiamo aumentare l’approvvigionamento, ma ci serve aiuto per proteggere i campi». Non da ultimo, sottolinea, deiezioni sparse dappertutto vanno ad alterare il regolare ciclo dei terreni destinati alla coltivazione o al foraggio dei bovini. «Abbiamo regole molto severe sui concimi e poi ci sono le feci dei cervi».
«La situazione è più che disperata. E va sempre peggio. Nella produzione di soia e mais quest’anno, in alcuni campi, abbiamo perso fino al 70% del prodotto a causa dei branchi di cervi che transitano e fanno cadere le pannocchie al suolo o le mangiano. Non è sostenibile produrre così», ci spiega Nicola Marcionetti, titolare dell’azienda di campicoltura bio e viticoltura Settemaggio di Monte Carasso. I suoi campi sono sul Piano di Magadino, dove convivono natura, svago e agricoltura. «Non c’è più convivenza, si subisce una situazione di squilibrio. Gli indennizzi compensano una parte delle perdite, ma non si può continuare così all’infinito, soprattutto in un periodo di risparmi. A noi manca il prodotto finale». Piantare altre colture non sembra una via percorribile. «Un’azienda agricola non può invertire in tempi accettabili la sua struttura produttiva. Dobbiamo seriamente chiederci se vogliamo ancora produrre derrate alimentari sul Piano di Magadino», si interroga.
Nel Mendrisiotto in generale, ma soprattutto a ridosso del confine, la convivenza tra viticoltura e cinghiali è molto difficile. «Quest’anno la pressione degli ungulati è stata forte, in primavera cervi e caprioli mangiano i germogli, poi arrivano i cinghiali che spazzano l’uva. Abbiamo perso svariate centinaia di quintali di uva. Sono perdite molto importanti, in parte indennizzate ma i clienti avranno meno vino, c’è meno commercio», spiega Davide Cadenazzi, presidente della Federviti. Lui stesso è titolare di un’azienda agricola e vitivinicola a Corteglia quindi sa che cosa significa difendere l’uva dai cinghiali. «È un gran lavoro di protezione, con recinzioni elettriche e fisse, che vanno mantenute e controllate più volte a settimana. Sono tutte energie tolte alla vendemmia. Inoltre se il cinghiale vuole entrare nel vigneto trova il modo, lo fa e spacca tutto. È frustrante!», precisa. Per Cadenazzi i cinghiali sono in costante aumento. «Le autorità stanno facendo del loro meglio. La caccia selettiva è efficace solo in parte perché la popolazione è esagerata e fuori controllo. In più c’è lo spauracchio della peste suina, ed è davvero vicina».
Il numero crescente di questi animali impone una riflessione sulla componente naturalistica e su quella legata all’agricoltura. Si tratta di trovare il giusto equilibrio fra le varie sensibilità presenti sul territorio. Un compromesso non sempre facile da raggiungere. Sul Piano di Magadino, per motivi di sicurezza, la caccia mirata non è praticabile. Al mattino presto c’è chi va a correre col cane o fa un giretto in bicicletta. Il rischio per i cacciatori è troppo alto. «Si potrebbe pensare a giornate in cui si limita la circolazione nel parco del piano così da poter pensare a prelievi mirati degli ungulati», propone Pedrini. Per Marcionetti serve invece un cambiamento di approccio per invertire la logica: «Invece di recintare i campi, potremmo investire per creare delle riserve dove confinare gli ungulati così non potrebbero invadere liberamente la zona dedicata all’agricoltura». Una sorta di utopico allevamento di cervi. Funzionerà?
Per la prima volta in Svizzera, sul Piano di Magadino è stato testato lo scorso anno e quest’anno un repellente per cervi. Il progetto sperimentale inventato dall’azienda Studio Alpino di Lodano in collaborazione con Tibio Sagl di Comano, usa una soluzione non letale per proteggere un campo agricolo. «Si usano sostanze biochimiche prodotte dal lupo per tenere lontane le prede come i cervi. È comprovato come le prede, sentendo l’odore del grande predatore, dovrebbero stare alla larga da quel territorio o transitare senza sostare», ci spiega il direttore Federico Tettamanti. Il biologo ed etologo ha già sperimentato la sua idea su mandato della Fondazione Parco del Piano di Magadino. «Abbiamo usato la pirazina, è un composto presente nell’urina dei grandi carnivori che suscita un comportamento avversivo negli ungulati che usano segnali chemio-olfattivi per evitare i luoghi dove stanno i grandi carnivori». In accordo con l’Ufficio della caccia e della pesca e con i proprietari, sono stati fatti più test sul Piano di Magadino piazzando nei campi la “tasche” di pirazina sui pali e monitorando cosa succedeva con telecamere a infrarossi.
«Il sistema di prevenzione funziona per vari mesi, i cervi sono vigili e restano meno tempo nell’area contaminata da ferormoni, ma verso settembre, con l’inizio del bramito l’effetto svanisce. Abbiamo osservato cervi maschi, condizionati dal testosterone, che correvano spaccando tutto nei campi di mais seguendo le femmine in calore». Nella stagione degli amori per i maschi non c’è pirazina che tenga. «Il periodo di bramito è uno dei momenti più critici per il raccolto, infatti maschi e femmine coi loro comportamenti tipici del periodo distruggono quello che trovano sul loro percorso, oltre al resto dell’anno dove gli animali stanziali mangiano le colture».
L’azienda non demorde. «Stiamo studiando una misura non letale da usare anche in quel periodo lì, principio medesimo ma con altre molecole». Una buona soluzione per alcuni, meno buona per altri agricoltori. «La migliore protezione è un puzzle di mezzi non letali e abbattimenti selettivi. Non si può immaginare di eliminare del tutto il problema “ungulati”, bisogna trovare una strategia, cosa su cui sta lavorando e adoperandosi la Fondazione Parco del Piano di Magadino», conclude l’esperto.