Ci sono negozi che chiudono i battenti, anche dopo diversi decenni, e chi diversamente cerca di mantenerli in vita, da Tresa ad Arogno
Abbarbicata alle pendici del monte Sighignola, Pugerna, frazione del Comune di Arogno, ha, ancora, la fortuna di poter contare su un negozio di paese affiancato da un bar-ristorante. Un esempio sempre più raro, dopo che la voracità delle grandi distribuzioni ha quasi del tutto annullato la loro presenza, soprattutto nelle città. Proprio recentemente, riportavamo sul nostro giornale della chiusura, dopo quasi 80 anni, della panetteria chiassese Fischbach.
Tiene, diversamente, duro, per l’amore e l’attaccamento che riserva, da sempre, al suo paese Patrizia Forni nata Casellini. Figlia del mitico Turi (il suo vero nome era Arturo) da 27 anni è proprietaria-gerente del Grütli, aperto, così come è oggi, dai genitori, nel giugno 1959. In questa casa, fin da quando era in fasce, 62 anni e mezzo fa, è cresciuta.
«Quando hanno aperto c’erano già un negozietto di alimentari e due altri ristoranti. E 120 persone in paese. Adesso sono rimasta io e poche anime... – inizia il suo racconto –. Mio figlio Roberto è nato nel 1991. Nel 1992 mia mamma ha cominciato ad avere problemi di salute. Ho cominciato così, come si suol dire, a tirare avanti la baracca. Mio papà si è ammalato nel 1995 ed è morto nel 1996. A spingermi a prendere in mano l’attività è stato il rispetto di quello che i miei genitori avevano creato in quarant’anni. È stato naturale. Del resto mi sono sempre detta che a chiudere si fa in fretta, ma a riaprire è più complicato. E d’accordo con mio marito Francesco sono sempre andata avanti».
Altri tempi certo: «I miei genitori lavoravano fortissimo, perché in zona non c’era concorrenza, e non erano ancora arrivati i grandi magazzini che ci sono adesso. Vi erano tanti tedeschi a Caprino (frazione di Lugano, ndr) che qui principalmente si servivano. Ricordo che il papà scendeva al mattino con pane, burro e marmellata e latte e la sera con formaggi e frutta varia. Li viziava, perché per i miei genitori quel lavoro serviva per vivere».
In eredità Patrizia ha avuto anche altro: «Ho ricevuto da custodire le chiavi delle case di vacanza dei nostri clienti. Proprio per questo i miei genitori mi avevano imposto di imparare il tedesco. C’è gente che trova in me un punto di riferimento e che riconosce il mio impegno. Certo che se guardo le ore effettive che impiego...».
Oggi Patrizia più che un’esercente è un prezioso punto di riferimento per Pugerna ma anche per tutto il comune: «Da qualche anno in qua faccio più da centro di informazioni che da ristorante e negozio. È capitato che mi chiamassero per dirmi che avevano bucato la ruota dell’auto e non sapevano cosa fare. Sono anche un ‘refugium peccatorum’, un contenitore di sfoghi, e ho fatto da banca, prestando qualche banconota a chi non voleva scendere al piano. Mi trovano 7 giorni su 7, con orari che più o meno riesco a gestire con elasticità. Chi mi conosce sa che dalle 13 alle 16.30 ho le mie commissioni, ma se sono a Lugano o altrove e qualcuno ha bisogno non mi faccio remore a tornare. Del resto, lo faccio con amore e piacere. Un vero guadagno al giorno d’oggi non c’è».
Il negozietto, nel suo piccolo locale, che ha quanto di indispensabile: «Ho salumeria e formaggio, un po’ di frutta e verdura, tipo carote, patate, cipolle, non insalata che è facilmente deperibile. La carne è quella di nostra produzione e la conservo in congelatore. Preferisco raccogliere delle comande piuttosto che andare a comperare un prodotto e poi buttarlo via perché invenduto. Certo che non posso vendere il latte a 1,10 perché a momenti lo pago io così. Un certo margine lo devo avere. Un giorno sì e uno no faccio 8 chilometri di auto per andare a prendere tre lunghini. Ma lo faccio per il servizio. Se tiro la somma ci perdo. Prendo così l’occasione per andare a fare la spesa, a trovare un’amica, a buttare la spazzatura, per fare benzina».
Il 2024 non è però un anno da incorniciare: «La stagione è un po’ un disastro. L’anno del Covid, diversamente, c’era molta gente e abbiamo lavorato bene. Venivano a fare l’aperitivo, a cenare. Del resto GastroTicino lo ha recentemente evidenziato, ci sono esercizi pubblici che perdono anche il 70-80%. Ho la fortuna di non aver avuto in sé quasi mai preoccupazioni, non avendo soprattutto il problema dell’affitto e del personale».
Ma il piatto... della bilancia dove pende? «Lo ripeto, lo faccio col cuore. Per amore del paese, per amore del fatto che resti frequentato. Perché se tiro le somme… non so se il santo valga la candela. I nostri clienti storici non ci sono più. Al giorno d’oggi i giovani con pochi franchi volano in Spagna o chissà dove per il weekend e non vengono certo a Pugerna. Ma questo non lo si vede solo qui. Si cerca ad ogni modo di non far morire le tradizioni, come la festa di san Giuseppe, eventi che al giorno d’oggi comportano comunque un certo impegno organizzativo».
Gli aspetti positivi però restano: «C’è soprattutto il sostegno di mio marito, della mia famiglia e degli amici, a cui fa piacere avere gente intorno. Per questo non vorrei vedere casa mia chiusa. Se così fosse in paese non ci sarebbe neanche una toilette pubblica... In generale tutto quello che faccio è apprezzato. Tanti capiscono l’impegno, quei pochi che non lo capiscono li tengo distanti. Sostegno che viene in primis dal Comune di Arogno. Spesso mi definiscono il vero Ufficio tecnico o il sindaco di Pugerna!» sorride Patrizia.
Figure che in frazioni e quartieri risultano preziose: «È la mia vita. Quel giorno che deciderò di chiudere? Non avrei mai pensato dopo quasi trent’anni di essere ancora qui, non avrei mai pensato di riuscire a mandare avanti da sola l’attività. Quando sistemo qualcosa, guardo in Cielo e dico: “Turi, ta sé cuntent?”. In generale cerco di mantenere la casa com’era, certo qualche volta magari elimino qualcosa, ma rispetto la fatica e le rinunce fatte dai miei genitori. Senza questa mia attività probabilmente andrei in crisi totale. Sarebbe come perdere una mano. Anche quando non c’è in giro nessuno, ho sempre qualcosa da fare. Un tutt’uno con la famiglia, anche se, quando necessario, ho sempre saputo privilegiare mio figlio e mio marito».
Dall’altra parte del Ceresio, spingendoci a ovest, giungiamo nel comune di Tresa. Affacciata su una piccola piazzetta troviamo La Butega da Sessa di Bea. È gerente da due anni e mezzo Beata Botto. Questa è la stagione dei turisti: la troviamo «immersa nei preparativi, dove si corre, ma del resto la mia missione è quella di fare ‘beati’ gli altri».
A un paio di chilometri di distanza da dove risiede, Molinazzo di Monteggio, Beata, per tutti Bea, sale ogni giorno nel suo negozio di Sessa: «Avendo l’opportunità di prenderlo in gestione e avendo voglia di lanciarmi in una nuova sfida salvando questo unico negozietto presente in tutto il comune ho accettato».
Oltre ad alimentari, vende prodotti per l’igiene, tabacco, bibite, articoli per animali. Qui si trovano anche tantissimi articoli prodotti da artigiani di Sessa, dalla bigiotteria ai saponi, dalle creme alla porcellana, dalle confetture agli aceti, che possono servire anche come idee regalo. «Inoltre, come bottega continuiamo a offrire il servizio postale, mentre ho aggiunto la possibilità di utilizzare una fotocopiatrice-stampante». Il suo breve bilancio è positivo: «Siamo in crescita. Le cifre riportano un buon risultato, anche se quel che riguarda il mio stipendio è per ora inesistente. Ho raggiunto il minimo e da mangiare c’è, per tutto il resto è forse presto. Questi primi due anni sono serviti per investire. Quel che ho guadagnato l’ho utilizzato per allargare l’offerta sugli scaffali, anche perché è bello avere il negozio pieno».
Variegata la clientela: «Offrendo diverse servizi la clientela locale è molto riconoscente. In primavera le case di vacanza cominciano a riaprirsi. Inoltre nei dintorni abbiamo diversi campeggi e l’hotel Ai Grappoli, dove hanno piscina e bungalow. Turisti e clienti che poi arrivano anche da noi. Per questo durante la stagione estiva, con l’arrivo anche di gruppi di giovanissimi che vengono a fare la spesa, famiglie, coppie, la mole di lavoro aumenta».
Chiusa sola la domenica, Bea ha mantenuto gli stessi orari, aprendo però anche il mercoledì pomeriggio: «Consegniamo inoltre anche a domicilio, senza costi aggiuntivi, e, dopo che mi sono stati richiesti e aver chiesto il permesso ai rispettivi Comuni, vendo i sacchi della spazzatura di Astano, ciò senza guadagnarvi, solo per un servizio ulteriore».
Non solo esercente, ma spesso centro di incontro e di relazioni: «Uh – sorride – questo giornalmente! Ogni tanto sono peggio di un prete... È quello che manca nella società di oggi. Un tempo nei negozietti la gente del paese si ritrovava, parlava con il gerente o fra gli stessi clienti. Io cerco di ricreare quell’ambiente, essere un punto di ritrovo».
Un’occupazione che comporta non pochi sacrifici, anche in termini familiari, lei che ha un compagno e quattro cani: «Posso contare su una collaboratrice part-time che mi dà un’importante mano, ma essendo una persona che ama avere tutto sotto controllo, prendere decisioni e comande, posso essere in negozio anche 12 ore al giorno e più. Quando torno a casa devo poter dormire tranquilla, per questo non mi pesa. Sono, dunque, contenta e appagata anche se lavoro molto di più e ho molto meno tempo libero».
Risvolti della medaglia? «L’impegno certo deve essere al 200% perché, appena rallenti, lo senti, come a militare, quando non devi perdere il ritmo della marcia! Tutto dev’essere fatto in modo perfetto. Ogni tanto devi aggiungere nuovi prodotti, o qualcosa di speciale, così da rispondere alle esigenze della clientela, renderla consapevole che gli esercizi pubblici di paese sono una preziosa risorsa. Molte volte, infatti, quando poi sono costretti a chiudere ci sono rimpianti, gente che si dice rattristata. Per questo motivo è importante che ciascuno contribuisca negli acquisti in paese almeno con un minimo, così da contrastare la concorrenza della grande distribuzione, anche italiana».
Bea, di origini slovacche, non perde però l’ottimismo: «Sono felice di dare un servizio al paese e alla regione, se non vi fosse la bottega tutto sarebbe più morto. Ogni giorno, infatti, c’è qualcuno che chiude e questo è triste, soprattutto per il tessuto sociale. Per me resta come un hobby, vivo alla giornata, se un giorno va male domani andrà sicuramente meglio».