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L’alleanza con le piante ci salverà, ma siamo troppo ciechi

Col cambiamento climatico anche vegetali e i loro impollinatori fanno le valigie. Due esperti ci spiegano che cosa sta succedendo nelle Alpi

(Depositphotos)
10 luglio 2024
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In Ticino ci sono ragazzi delle Medie che, nei loro primi 15 anni di vita, non hanno mai avuto a che fare con l’ortica. Non la sanno riconoscere e non sanno neppure che è urticante. Questo la dice lunga sulla cecità alle piante (‘plant blindness’). Sottostimando e ignorando l’importanza vitale delle piante nel nostro ecosistema e nel nostro quotidiano, si rischia di non fare abbastanza per conservarle. Invece, sono indispensabili, molto più del telefonino: ci vestono, ci nutrono, ci danno l’ossigeno che respiriamo, anche diverse medicine, aiutano a ridurre il calore nelle città… Per molti sono solo un generico verde. Questa ‘cecità’ affligge diverse generazioni, sempre più scollegate dal mondo vegetale, centrale invece per la sopravvivenza e lo sviluppo della nostra società, soprattutto davanti alle sfide che le situazioni ambientali e climatiche ci stanno imponendo qui, nelle Alpi, una fra le aree naturali pregiate più vasta, ricca di biodiversità e serbatoio d’acqua per tutta l’Europa. Le nostre montagne sono le sentinelle dei cambiamenti climatici: riscaldandosi due volte più velocemente rispetto alle medie globali aiutano a delineare gli scenari futuri. Cassandre di quanto, da un punto di vista ambientale, accadrà, perché possono aiutarci a sviluppare strategie per mitigare gli effetti di un pervasivo e imprevedibile processo di perturbazione ambientale fatto di frane, smottamenti, desincronizzazione dei cicli vitali, accresciuta vulnerabilità alle specie invasive. Monitorare e comprendere le dinamiche del cambiamento in atto è fondamentale. Essere ciechi e sempre più sconnessi dagli ecosistemi è come guidare bendati verso il baratro. Vediamo perché con due esperti.

Ci nutrono, ci danno ossigeno, mitigano il calore

“L’alleanza con le piante sarà sempre più essenziale in futuro, ad esempio per la mitigazione delle aree di calore urbano, per la sicurezza alimentare, per la filiera produttiva alimentare basata su una maggiore biodiversità delle specie. Forse lo sanno in pochi, ma le montagne sono degli scrigni di varietà genetiche particolari, ogni valle ha specie uniche e particolari”, ci spiega Leonardo Azzalini. È responsabile della Scuola Alpina a Olivone della Fondazione Alpina per le Scienze della Vita (FASV), che promuove la conoscenza tra i giovani (oltre 2’500 studenti l’anno) di gran parte delle scienze naturali: dall’astronomia, alla geologia, passando appunto per la botanica. Dal micro al macro. Dalle piante medicinali e aromatiche alle molecole e ai principi attivi in esse contenuti. La nota Tisana Olivone è stata creata proprio qui, in questa Fondazione! Infatti, la Scuola Alpina risiede oggi nel laboratorio originario dedicato alla fitofarmacologia; per questo le attività più amate e richieste sono quelle legate alla botanica e all’erboristeria.


FASV
Alla Scuola Alpina di Olivone, circa 2500 studenti l’anno si immergono nella natura. Molti di loro osservano per la prima volta un’ortica

Il tempo perduto dei rimedi della nonna

Oltre 2’500 studenti, dalle Elementari alle Università, partecipano ogni anno a corsi e laboratori in valle di Blenio alla FASV. La scarsa sensibilità verso le piante emerge in tutta la sua drammaticità: “Quando va bene, su venti piante gli studenti ne riconoscono cinque. Mentre, su venti loghi di aziende digitali, automobilistiche o di moda, non ne sbagliano uno. Ci sono 15enni che non hanno mai visto l’ortica”, spiega Azzalini. I videogiochi hanno soppiantato le capanne in giardino. Le conseguenze sono lampanti: acquistiamo la frutta e la mangiamo pressoché ignari della cultura che la circonda (come e quando coltivarli, come proteggerli da parassiti…). “Non è insolito vedere studenti che non riconoscano un melo da un nocciolo”. Sempre più distanti da orti, giardini, campi e boschi e da tutto ciò che questi offrono: “Da alcuni secoli assistiamo a un’enorme erosione delle conoscenze etnobotaniche, accumulate in millenni per prova di errore e scivolate via nel silenzio più totale”. Per capirci, quei rimedi della nonna tramandati di generazione in generazione come impacchi o sciroppi alle erbe medicinali per ogni tipo di malanno. “Sono più di rimedi casalinghi. Erano basati su conoscenze tradizionali ma in un certo senso, anche scientifiche. Oggi ci si sta rendendo conto del valore di questo patrimonio e si vorrebbe recuperarlo, ma non è sempre facile trovare qualcuno che possa ancora insegnarlo”.


FASV
In laboratorio

Per Azzalini, tra le spiegazioni della cecità vegetale e della scarsa esperienza in natura c’è anche un aspetto economico. “Per tanti ragazzini avere un rapporto con la natura è diventato un lusso. Dove vengono portati e soprattutto, non portati, nel tempo libero, è legato anche ad aspetti socioeconomici e culturali”. Ben vengano dunque gli orti botanici in città, le lezioni didattiche in natura in Val di Blenio col team della Scuola Alpina e altri progetti per seminare una nuova consapevolezza verde tra i cittadini di oggi e di domani, che stanno affrontando – e dovranno affrontare – ardue sfide climatiche.

Con le piante si spostano anche i loro impollinatori

La minaccia climatica è la maggiore sfida per il futuro delle Alpi e sta già ridisegnando il nostro paesaggio, i cambiamenti si vedono a occhio nudo. Sempre Azzalini: “A causa del riscaldamento il limite boschivo sale, c’è una migrazione della vegetazione verso l’alto, perché le piante cercano ambienti più consoni alla loro fisiologia. Con loro, si potrebbero spostare farfalle, avifauna, vermi, parassiti e patogeni…”. In natura tutto è interconnesso in una sofisticata e meravigliosa catena. “Sono equilibri millenari, sincronizzazioni dinamiche che hanno funzionato per migliaia di anni e ora vengono compromessi. Non sappiamo che cosa succederà. Se una pianta sale più in alto, non è detto che lo facciano anche i suoi migliori amici impollinatori. Uno dei grandi problemi sarà quello di capire l’interazione tra le varie specie”. Ci fa l’esempio della palma (più precisamente la Trachycarpus fortunei), pianta invitata, prima che invasiva, introdotta come pianta ornamentale che, trovando un clima favorevole, si è insediata nelle nicchie, a bassa quota, lasciate libere dalla popolazione vegetale indigena, emigrata più in alto. Clima a parte, ha anche dei vantaggi che hanno favorito il suo insediamento: non avere predatori e avere una strategia riproduttiva molto competitiva.

Avere più specie non è per forza negativo. “In teoria è così. Percepiamo il problema soprattutto secondo logiche di tipo utilitaristico, se vanno a destabilizzare le specie considerate più utili”. Inoltre oltre un certo limite non si potrà salire. “La flora alpina, come ad esempio quella della zona di Dötra (in Alto Lucomagno) è di fatto minacciata; spostandosi sempre più in alto, rischia di faticare a trovare un habitat visto che le montagne sono generalmente fatte a cono, più si sale, più l’area diminuisce”.

Anche diverse erbe medicinali devono adattarsi. “I principi attivi delle piante variano in base alle condizioni climatiche. Una radice che una volta si raccoglieva a settembre perché all’apice dei principi attivi, non è detto che in futuro sia pronta nello stesso periodo. Occorrerà rivalutare tutto”. Per ora, in questa zona prealpina siamo fortunati, perché abbiamo una biodiversità ampissima.

Tra tanti ostacoli, fa ben sperare il crescente interesse per l’erboristeria. Un ritorno alla terra, almeno di una parte della società: “I nostri corsi sulle erbe hanno successo tra gli adulti, soprattutto tra un pubblico femminile. Anche perché ciascuno impara a produrre a chilometro zero creme curative e può prendere in mano la propria salute”.

Montagne sempre in movimento

E veniamo all’acqua. Ormai è sotto gli occhi di tutti, periodi di siccità estiva si alternano a estati torrenziali con micidiali bombe d’acqua. “Inondazioni e siccità stanno aumentando drammaticamente e più in generale, più della metà dei sistemi fluviali mondiali ha registrato condizioni anomale. Tutto a causa del riscaldamento globale. I ghiacciai si stanno ritirando sotto i nostri occhi e l’approvvigionamento idrico a lungo termine è minacciato. Secondo la Commissione svizzera per l’osservazione della criosfera (CSC) sulle Alpi svizzere nel 2022 si era registrato uno scioglimento della massa di ghiaccio al 6%, nel 2023 del 4%. In due anni si è registrato uno scioglimento del 10%, pari a quello prodottosi sull’arco di trent’anni, dal 1960 al 1990. Ci aiuta a capire questi dati l’ingegnere ambientale Cristina Gardenghi che fa parte del team della Scuola Alpina.

“Il surriscaldamento dell’atmosfera impatta sui cicli idrologici, con mutamenti nella distribuzione delle precipitazioni lungo l’arco dell’anno. Le nevicate si spostano sempre più in alto, lo scorso anno pioveva perfino sull’Adula. Avendo meno riserve d’acqua stoccate nei ghiacciai, saremo più dipendenti dalle piogge. Si alterneranno periodi di siccità ad alluvioni e piene, come sta succedendo in queste ultime settimane”. Le vallate sono degli imbuti, continua, dovremo essere pronti, ampliando lo spazio per i letti dei fiumi e costruendo più ripari. O forse come suggerisce Avenir Suisse, lasciando per sempre alcune zone alpine (peraltro oasi di fresco durante le estati torride) diventate troppo pericolose. Il dibattito è lanciato.

Con lo scioglimento del permafrost anche il suolo può destabilizzarsi, causare smottamenti, colate detritiche o crolli di rocce. “Le montagne sembrano immutabili, sempre uguali, in realtà sono sempre in movimento. Anche con tutta la tecnoscienza, basta una notte di piogge intense per portare via ogni certezza”, conclude Azzalini.

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