Tutto aumenta: affitto, elettricità, casse malati, Iva, beni di prima necessità. Rincari che scavano un divario ancora più grande col resto del Paese
Al peggio non sembra esserci fine. Sapevamo che lo stesso impiego in Ticino è pagato meno (anche del 30%) rispetto a Berna, Zurigo, Losanna, Ginevra… ma che il rischio di povertà fosse addirittura quasi il doppio nella Svizzera italiana (attorno al 24%) rispetto alla media nazionale (15%) la dice lunga sull’abisso che si sta scavando tra noi e gli altri cantoni. A sud delle Alpi ogni aumento di spesa pesa sul bilancio familiare come un macigno. Sempre più residenti per sopravvivere vanno ad allungare la fila da Caritas, Croce Rossa, Soccorso d’inverno, Tavolino Magico, alle mense sociali e altri enti caritatevoli.
Per Mirante, ‘non si fa nulla per tenersi i ticinesi qualificati’
Tutto costa di più, sempre di più e le entrate sono ferme al palo. Il rincaro dei generi di consumo e dell’Iva, l’aumento delle pigioni e dei premi di cassa malati stanno togliendo il sonno a tanti ticinesi. Non si vede mai la fine. Da noi, quasi un anziano su tre è povero: una fetta di precarietà cinque volte superiore rispetto a quella di Basilea Città e tre volte superiore rispetto a quella di Zurigo (secondo uno studio di Pro Senectute). Eppure la Costituzione federale stabilisce che la pensione dovrebbe coprire adeguatamente i bisogni fondamentali. Beh, per troppi non è così. E c’è qualche pensionato forzato a emigrare dopo una lunga e onesta vita lavorativa. Assai indigesta l’ultima trovata del Consiglio federale, che intende ridurre il limite di esenzione dall’imposta sul valore aggiunto per le merci acquistate oltre confine. Per semplificare: chi fa la spesa oggi in Italia per un importo massimo di 300 franchi non deve pagare nessuna imposta sull’importazione (oggi del 7,7%, dal 1° gennaio dell’8,1%) e quando rientra in Svizzera può anche farsi rimborsare l’IVA italiana. Un domani, il tetto potrebbe essere abbassato a 150 franchi, rendendo di fatto meno vantaggioso lo shopping transfrontaliero. “Significa infierire ulteriormente su un cantone già in emergenza sociale. Il Ticino cammina verso un’economia sussidiata dallo Stato. È come se avessimo due Svizzere: una viaggia a forte velocità e genera benessere e poi c’è il Ticino che, pur stando nella stessa nazione, ha una velocità di crociera molto più lenta per la sua situazione storica, geografica di frontiera”, precisa l’economista Amalia Mirante docente a Supsi e Usi. Vediamo perché.
Tutto aumenta: affitti, Iva, elettricità, premi di cassa malati… fino a quando ce la faranno i ticinesi?
Purtroppo sembra realizzarsi la tempesta perfetta. Le persone non possono rinunciare a una serie di beni basilari, come ad esempio l’affitto: cambiare appartamento non serve perché il mercato immobiliare resta quello. Stesso discorso per la bolletta dell'elettricità: si può risparmiare ma fino a un certo punto, chi vive in un palazzo può fare ben poco.
Anche fare la spesa alimentare costa di più… e ora Berna vorrebbe pure abbassare da 300 a 150 franchi la franchigia per chi fa gli acquisti oltre confine. Che ne pensa?
Ridurre la franchigia a 150 franchi per la spesa in Italia significa infierire su chi vive in Ticino e ha tutto il diritto di far quadrare meglio il bilancio familiare, facendo la spesa in Italia. La gente non può smettere di mangiare, possiamo solo sperare che freni l’aumento dei prezzi. A subire il contraccolpo maggiore sono il ceto medio e quello basso.
A pesare maggiormente è il continuo aumento del premio di cassa malati?
Dobbiamo pagarlo, non si scappa e i continui aumenti stanno fragilizzando drammaticamente diverse fasce di popolazione. Molti anziani sono forzati a trasferirsi all’estero. C’è chi ha lavorato onestamente tutta una vita in Ticino, ma avendo percepito salari medio bassi, può accedere solo al minimo del sistema pensionistico. Senza risparmi non ce la fa. Non volendo pesare sui figli, c’è chi deve emigrare. È davvero una situazione drammatica. Dobbiamo pensare a nuovi modelli di assicurazioni sociali che insieme all’Avs introducono meccanismi di compensazione soprattutto a beneficio degli anziani. Nel 1948 l’Avs era la scelta giusta per quella società, oggi dobbiamo pensare nuovi sistemi. Non ne usciamo scaricando l’aumento dei premi sulle persone. In troppi non riescono più a pagare.
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Costi sanitari fuori controllo e premi sempre più su
Il resto della Svizzera sembra sopportare meglio questi continui aumenti: ci vorrà tempo prima che qualcosa cambi?
Nel resto della Svizzera c’è poca conoscenza della accentuata fragilità economica del Ticino, dove un aumento del 10% dei premi cassa malati può far scoppiare un’emergenza sociale. Dove è il confine, per dire basta? Dobbiamo arrivare a 200mila persone che non riescono a pagare i premi di cassa malati? Toccherebbe alla Confederazione calmierare i premi per tutti.
Tutto costa di più e i salari non stanno al passo, fino a quando ancora si può tirare la corda in Ticino?
In Ticino il rischio di povertà e di disagio è molto più grande rispetto ad altri cantoni. Senza ombra di dubbio, perché da noi i salari sono più bassi. Le categorie più a rischio sono le famiglie monoparentali, i pensionati, le persone straniere, anche il livello di formazione gioca un ruolo importante. Ma la prima causa di questa differenza rimane il salario che oscilla tra il 16-20% in meno rispetto a quello medio nazionale. Si arriva anche a punte del 30% in meno rispetto al salario medio di Zurigo. È come se avessimo due Svizzere: una viaggia a forte velocità, quindi sa generare benessere (produzione, invenzione, ricerca e sviluppo) e un Ticino che, pur avendo la fortuna di essere nella stessa nazione, ha una velocità di crociera molto più lenta per la sua situazione storica, geografica di frontiera.
È pur vero che il Canton Ticino eroga molti aiuti sociali…
Fortunatamente lo Stato sociale è molto buono (anche se perfettibile) in Ticino. Analizzando quanto lo Stato deve investire per sostenere i suoi cittadini, emerge una grande differenza rispetto ad altri cantoni, dove invece i cittadini riescono a vivere dignitosamente col loro stipendio. Il Ticino cammina verso un’economia sussidiata dallo Stato. Politicamente dovremmo accettare questo fatto e trovare soluzioni.
Ci sono altri cantoni, di frontiera, messi male come il Ticino?
Misurando il differenziale dei salari tra frontalieri e residenti, si osserva che la situazione del Ticino è unica. A Sud delle Alpi, la paga dei frontalieri è in media del 20% più bassa rispetto ai residenti, esercitando una pressione al ribasso sui salari. Altri cantoni proteggono meglio il loro mercato del lavoro, spesso il salario mediano dei frontalieri è addirittura più alto di quello dei residenti. Questo significa che si sta attingendo a lavoratori molto qualificati e ben retribuiti. Di conseguenza c’è una pressione al rialzo sui salari.
In Ticino è esattamente il contrario. Oltre ad avere i salari più bassi della Svizzera, abbiamo anche una concorrenza al ribasso da parte dei frontalieri. Questo ci dicono i dati. In più, ora l’Italia sta correndo al riparo per frenare l'emorragia di lavoratori verso il Ticino.
È anche una questione di numeri… viste le differenze salariali, parecchi laureati lasciano il Ticino a caccia di migliori possibilità nel resto della Svizzera. Una tendenza da invertire?
Il Ticino non fa nulla per tenersi i giovani residenti qualificati o anche gli over 50 con competenze eccellenti. Ci lamentiamo ad esempio che mancano i medici ma non mettiamo in discussione il numero chiuso. Gli studenti di medicina costano, conviene “comprarli” all’estero. Ma gli altri non stanno a guardare. La Germania vuole introdurre una tassa sui medici formati da loro e rubati dalla Svizzera.
In più, ci sono anche i ventilati tagli governativi per risanare le finanze pubbliche…
Non c’è dubbio che le finanze pubbliche debbano essere in ordine. Il Governo ha fatto un'analisi contabile dei 4,2 miliardi di spesa. Quello che ci aspettiamo dall’Esecutivo è invece un'analisi a 360 gradi di ogni franco investito, in modo da scovare i doppioni, le spese inefficaci. I risparmi vanno fatti dove è possibile farli. Non si risparmia linearmente su chi è in uno stato di bisogno. Lo stesso vale per dipendenti pubblici a cui il Governo chiede un contributo di solidarietà: non si fa quando tutto aumenta. Occorre cambiare mentalità!