Nuove armi contro la violenza domestica. Cosi la polizia disinnesca potenziali casi di femminicidio. Alle vittime: ‘Segnalate prima che sia troppo tardi‘
La violenza coniugale uccide più della strada e del tabacco. Ogni due settimane una donna viene uccisa in Svizzera dal compagno. In Ticino la polizia interviene in media tre volte al giorno, uno per violenza domestica ed è purtroppo solo la punta dell’iceberg. È un dovere proteggere donne e bambini che hanno il diritto di sentirsi al sicuro, ma occorre occuparsi (e non solo con pene detentive) anche dell’aggressore. Raramente, anche se lo vuole, si ferma da solo, senza supporto e assistenza adeguati. Se l’autore impara a gestire la rabbia, la vittima è libera. È anche per questo motivo che è nato un nuovo gruppo dentro la polizia che sta col fiato sul collo di chi ha già commesso violenza e di chi potrebbe farlo. «Diventiamo gli stalker degli stalker», dice il capitano Andrea Cucchiaro, usando una metafora.
L’ufficiale è responsabile del reparto interventi speciali (Ris) e dirige anche il Gruppo prevenzione negoziazione (Gpn), attivo dal 2019, che agisce sotto la legge della polizia (non sotto il codice di procedura penale) e si occupa appunto di disinnescare o anticipare situazioni potenzialmente a rischio, evitando il passaggio all’atto. Anche la violenza in famiglia. Abbiamo incontrato il capitano per capire come gli agenti monitorano chi ha già commesso violenze e chi potrebbe potenzialmente diventare pericoloso. Due situazioni diverse. «A reato avvenuto, la Polizia cantonale agisce sia col gruppo violenza domestica, inserito nella gendarmeria, che raccoglie l’attività delle pattuglie (art 55A del codice penale) e contatta la vittima, sia col gruppo prevenzione negoziazione (Gpn) che fa un’ulteriore analisi al fine di evitare una recidiva: chi ha subito diventa il nostro radar sulla situazione per capire e monitorare l’autore».
Gli agenti del Gpn (4 agenti specializzati e 1 coordinatore) ai quali si affianca uno psicologo del servizio psicologico della polizia, invitano anche l’autore (di regola sono maschi) a un colloquio. Non c’è coercizione. L’obiettivo è scoprire il motivo scatenante della violenza: perché ha picchiato la compagna, la moglie. «Il 95% si presenta all’incontro. Non sono criminali (e non li sto assolvendo!), tanti vogliono parlarne. Una volta lasciati dalla compagna, alcuni si comportano in modo violento perché si sentono persi, non sanno fare nulla da soli, da cucinare a pagare le fatture. Altri hanno problemi relazionali patologici, che possono affondare le radici nell’infanzia». L’incapacità di gestire la rabbia, sommata ad alcol, problemi coi figli, col lavoro diventa la miccia che può accendere la furia violenta.
«L’abuso di alcol è quasi sempre presente, un elemento che favorisce fino a 7 volte in più l’escalation violenta». Il gruppo interviene anche per prevenire la violenza. Certo ci vuole una segnalazione (vedi box) da parte della vittima o di chi le sta attorno: «Siamo molto attenti ai casi di stalking (non è reato penale). Quando ci sono comportamenti persecutori ripetuti e intrusivi, come minacce, pedinamenti, molestie, telefonate contattiamo l’autore, lo incontriamo e cerchiamo di capire cosa succede». Il gruppo non fa né pedinamenti, né controlli telefonici, nessuna forma coattiva. «Apriamo un canale con la vittima che diventa parte attiva e col potenziale aggressore. L’obiettivo è capire che cosa può scatenare l’aggressione, gli eventi potenzialmente critici, come la sentenza per l’affido dei figli o un nuovo partner dell’ex. In questi casi monitoriamo più da vicino che cosa succede. Se tutto ciò non funziona attiviamo altri servizi come ad esempio le Arp per valutazioni più approfondite».
I numeri fanno riflettere. «Ogni settimana abbiamo 4-5 nuovi casi (circa 300 l’anno, gli autori vanno dai 25 agli 80 anni), ci vengono segnalati da vari enti, istituzioni e talvolta anche da avvocati; la maggior parte non è ancora passata all’atto. La relazione con gli autori si protrae nel tempo e sono una cinquantina le persone che vediamo con una certa regolarità, anche settimanale». I casi di violenza domestica di cui ci occupiamo – precisa – sono un centinaio circa l’anno (107 nel 2021, nel 2022 superiamo quel numero), il resto riguarda minacce tra vicini, verso funzionari, medici, autorità, politici; studenti che vanno a scuola con un’arma, che pubblicano contenuti violenti sui social, che scrivono componimenti che lasciano presagire un certo interesse per atti violenti.
La violenza non ha passaporto, ma spesso gli anelli deboli sono donne straniere che non sanno a chi rivolgersi in caso di maltrattamenti. Raggiungerle può essere una sfida. «Abbiamo trattato casi di donne letteralmente chiuse in casa, che hanno tutti i familiari contro. Sono casi che vengono alla luce ad esempio grazie ai racconti dei figli a scuola. Nella comunità eritrea ad esempio, il nascituro appartiene all’uomo, l’ipotesi d’interruzione di gravidanza può diventare un tema esplosivo. Noi siamo un tassello di una rete più ampia», precisa. In questi anni l’ufficiale si è fatto un’idea del perché tanta violenza si insinua in famiglia. «Osserviamo una crescente difficoltà a esprimere il proprio disagio nella coppia, il dialogo sembra scomparso. Si preferisce manipolare, urlare o usare la violenza. Quando queste persone sono davanti agli agenti parlano per ore, ma non lo fanno col partner». Agire preventivamente sembra la via giusta per disinnescare potenziali bombe a orologeria: «Fino ad ora siamo riusciti a evitare gravi passaggi all’atto e questo è un buon risultato».
Tra i tanti casi trattati, uno ritorna alla mente dell’ufficiale: «Mi colpisce la resistenza di alcune vittime, ricordo una donna che ha sopportato insulti e pugni per 20 anni. Quando i figli sono diventati autonomi ha deciso di reagire, non l’avrebbe fatto prima. L’abbiamo sostenuta e nel giro di un anno e mezzo si è ricostruita una nuova vita».
A chi subisce comportamenti persecutori, alle potenziali vittime l’ufficiale dice di non aspettare troppo, di chiedere aiuto e segnalare quanto succede: «Certe dinamiche possono degenerare molto velocemente», spiega il capitano Cucchiaro. L’invito è contattare anche il suo gruppo, via 117. «Possiamo anche solo parlare, consigliare che cosa fare». Quando si è oltre? «Quando ci si sente minacciati e in pericolo, ad esempio quando l’ex si apposta sotto casa, sposta gli ombrelli fuori casa così da farti sentire controllata. Anche se non c’è stato uno scontro fisico, ci sono tanti segnali da non sottovalutare». Il Gpn, forse poiché rappresenta la polizia, ottiene un maggior effetto deterrente: «Quando convochiamo a titolo preventivo un potenziale aggressore e ci parliamo, otteniamo di regola già buoni risultati».
Da gennaio ci sarà un nuovo tassello nella lotta contro la violenza domestica. Il Centro competenza violenza, diretto dalla psicologa della polizia Marina Lang, si propone di far dialogare tutte le unità della polizia, di analizzare nei vari casi che cosa funziona, che cosa non funziona e come migliorarlo, farà analisi del rischio e sarà il punto unico di relazione verso gli enti esterni. Avrà anche il ruolo di sensibilizzare la popolazione per favorire le segnalazioni utili a prevenire la violenza domestica. Il capitano fa riferimento al progetto upstander (chi vede qualcosa lo segnala). «Non è un programma spione, ma un invito a interessarsi all’altro, per accorgersi se il collega, l’amico, lo studente ultimamente ha cambiato le sue abitudini, solo nella relazione osserviamo ad esempio se un allievo inizia a starsene sempre solo: può essere solo introverso, ma può anche essere la spia di altro. Con la scuola stiamo valutando un canale di segnalazione diretto, così quel docente che ha un dubbio può chiamarci per un consiglio senza allertare la cavalleria». Chi sta subendo violenza, di regola fatica a farsi avanti. Tante subiscono e stanno zitte, forse perché non vedono vie di uscita per i figli, per la questione economica, per non accettare il fallimento della coppia. Di fatto la violenza domestica è un reato d’ufficio. Significa che non serve la querela della vittima. L’ufficiale ci tiene a ripeterlo: «Fare una segnalazione al Gpn non significa fare una denuncia. Gli agenti, tenendo il più possibile anonima la fonte, possono agire sull’aggressore in forma dissuasiva».