Parte dall’ospedale di Lugano uno studio sul ‘nonnismo’ tra infermieri. Mentre l’Ente ospedaliero cantonale testa un nuovo sportello per denunce anonime
Quante volte a fine turno ha pensato "non ce la faccio più". Sorridente e premurosa verso i pazienti, Dolores vive un inferno al lavoro, si sente lo zerbino di una collega più esperta, che la prende di mira, la sminuisce davanti al team, umiliandola in modo incivile. Con la scusa che lei è l’ultima arrivata, la riprende su tutto. «Non va mai bene nulla. Tutto va fatto a tempo zero». Un velato bullismo, una violenza verbale, che, settimana dopo settimana, le ha tolto la voglia di fare un mestiere, che sognava fin da piccola. «Con chi ne parlo? Lei è qui da decenni. Non ci dormo più la notte, proverò a cambiare reparto, forse anche lavoro», racconta. Per Dolores, come per i seimila dipendenti dell’Ente ospedaliero cantonale (Eoc), ora c’è il nuovo progetto ‘visione, missione e valori’ che comprende anche un codice di comportamento e uno sportello virtuale dove segnalare, anche anonimamente, comportamenti illeciti o irregolarità. «Grazie al nuovo codice di comportamento, che stiamo condividendo e che codifica tanti aspetti della quotidianità e grazie ai 5 nuovi valori (rispetto, responsabilità, inclusione, innovazione e professionalità) mettiamo le basi per un ambiente lavorativo di qualità per dipendenti e pazienti», spiegano Glauco Martinetti, direttore dell’Eoc e Monica Ghielmetti, capo Area risorse umane.
Quando si parla di bullismo si pensa ai banchi di scuola, non alla corsia di un ospedale, ai professionisti della salute chiamati a curare i più fragili. Eppure il tema, sempre più studiato, può provocare stress, burnout, assenteismo, costi sociali, anche eventuali errori verso i pazienti. «Bullismo e violenza laterale sono una sorta di epidemia che fa ammalare l’intero team con possibili ripercussioni sul benessere di pazienti e curanti. Quando molte energie vengono fagocitate da dinamiche tossiche, l’attenzione dei curanti potrebbe essere influenzata con un possibile riverbero sulla qualità delle cure», ci spiega Giovanna Pezzoli, responsabile infermieristica all’Ospedale regionale di Lugano, che conta 800 operatori sanitari.
C’è un detto: gli infermieri esperti mangiano quelli giovani. È davvero così? Sembra che questi fenomeni avvengano anche tra colleghi, tra superiore e collaboratore, tra i superiori stessi, verso il novizio del team o quello meno qualificato. «Insegnare la professione è importante, ma farlo in modo incivile, abusando del proprio ruolo non va bene». Il limite tra formare e vessare, ce lo spiega così: «Dipende da come ci si relaziona. Non va bene utilizzare il proprio ruolo ed essere maleducati, non vanno bene le molestie psicologiche e verbali, l’esclusione sociale e nemmeno umiliare un collaboratore davanti a tutti. Non va nemmeno bene imporre un proprio modo di fare, magari non in linea con la visione istituzionale», precisa. Molto dipende dalla frequenza e da dinamiche relazionali volte a controllare, sminuire, svalutare l’altro. «Serve molta prevenzione».
Tra marzo e ottobre 2020, Pezzoli ha condotto una ricerca qualitativa, come lavoro di tesi per il master of science in cure infermieristiche, coinvolgendo 35 leader tra capireparto e capisettore all’Ospedale regionale di Lugano. L’obiettivo era esplorare il livello di consapevolezza riguardo al fenomeno. I risultati dello studio, continua, hanno evidenziato una scarsa conoscenza, tra i leader infermieristici, dell’esistenza di questi fenomeni nei contesti sanitari. «Sono emersi diversi esempi di situazioni riconducibili al distress relazionale che se non colti tempestivamente potrebbero sfociare in bullismo o violenza laterale». Tanto per intenderci, parliamo di atteggiamenti del tipo: ‘Io sono qui da tanti anni, qui si fa così, devi essere più veloce… Non sei un bravo professionista, se a fine turno non hai portato a termine tutto il lavoro…’.
Purtroppo un terzo del personale infermieristico lascia la professione nei primi anni. I motivi sono diversi: ci si scontra con turni pressanti, orari irregolari, tempi di riposo troppo brevi per recuperare le forze, difficoltà a conciliare lavoro e famiglia. Se ci si aggiunge un velato bullismo, il cocktail è esplosivo per un settore, dove entro il 2030 mancheranno 65mila infermieri. Da qui l’urgenza di fare qualcosa. «È fondamentale sensibilizzare la leadership verso un approccio preventivo, incrementando le conoscenze e la competenza dei quadri infermieristici nell’osservare le realtà lavorative quotidiane con occhi diversi, cogliendo i campanelli d’allarme in tempo reale e identificando strategie di presa in carico», spiega ancora Pezzoli.
I segnali da non sottovalutare, continua, sono assenteismo, frequenti cambi di turno e richieste di trasferimento dal reparto. Una leadership troppo permissiva, che favorisce disparità di trattamento, può facilitare queste situazioni. Un buon capo deve saper cogliere i segnali e agire: «Si inizia ad esempio da battutine, dal parlar male in assenza del diretto interessato, per denigrarlo. Sono episodi che un capo non dovrebbe sottovalutare ma indagare e cercare di bloccare sul nascere». I superiori e le risorse umane devono dare l’esempio. «È necessario un percorso di sensibilizzazione, l’introduzione di un sistema di reporting e di sostegno psicologico per chi vive eventi di bullismo o violenza laterale. I leader infermieristici hanno il dovere morale di promuovere il benessere dei curanti poiché, in questo modo, si può agire sulla qualità e sulla sicurezza delle cure e sul benessere dei pazienti, ma anche un dovere istituzionale e sociale visti i costi generati dalle assenze, dal posto di lavoro, a causa dello stress».
Intanto, sul tema, sono in corso altri due progetti di ricerca all’Ospedale regionale di Lugano in cui da un lato si «esplora il fenomeno in alcuni ambiti della cura e dall’altro si sviluppa un intervento di prevenzione», conclude.
Chi subisce mobbing o bullismo sul posto di lavoro non sempre parla per paura di perdere il posto. «L’Ente ospedaliero cantonale (Eoc) per seguire i massimi standard ha introdotto un codice di comportamento e deontologico vincolante per 6mila dipendenti e partner che funge da bussola per i nostri collaboratori su come navigare in un contesto multiculturale e multidisciplinare», spiega Baroum Mrad, responsabile del Servizio protezione dati e privacy dell’Eoc.
La lista è lunga 23 pagine, si parla ad esempio di mobbing, d’inclusione senza discriminazioni, di riservatezza, di conflitti di interesse, anche di regali e compensi… Avendo una mappa di ciò che si può e non si può fare è più facile eventualmente segnalare quello che non va. In questo senso, l’Eoc sta facendo un grosso passo avanti. «Stiamo introducendo lo ‘speak up’ per segnalazioni anonime di comportamenti illeciti o irregolarità riscontrate in azienda». In gergo tecnico ‘Whistleblowing’, uno strumento usato soprattutto in ambito bancario per segnalare frodi finanziarie. Chi non conosce l’attivista Assange, uno tra i più noti Whistleblower, che ha scoperchiato ad esempio il vaso di Pandora delle prigioni americane a Guantanamo.
Ma qui, stiamo parlando di un nuovo canale di ascolto. «Lo stiamo testando, verrà implementato nel 2023, previa una formazione interna su come, quando e per cosa usarlo», precisa Mrad. Manderà in pensione le lettere anonime che spesso finiscono nel tritacarte. «Questo nuovo canale permetterà di comunicare col servizio compliance dell’Eoc, anche in modo anonimo tramite una casella postale securizzata. Si potrà inviare segnalazioni, allegando foto e/o documenti per sostanziare il caso».
La novità è che attraverso questo software, continua l’esperto, si potrà continuare a dialogare con il denunciante: «Con le lettere anonime non era possibile e magari il contenuto aveva qualche base di verità. Vogliamo raccogliere tutto e tenere un dialogo aperto mentre si approfondisce una segnalazione». In un ambiente piccolo come il Ticino, non è facile tutelare chi si fa avanti: «Stiamo preparando una direttiva che obbliga a tutelare chi segnala, anonimo o meno, da qualsiasi conseguenza».
Chi è chiamato a indagare dovrebbe inoltre essere super neutrale. «Ogni segnalazione andrà a un gremio compliance, oggettivo e indipendente, che farà un triage: l’investigazione sarà delegata a esperti (ad esempio se è un problema di legge del lavoro si coinvolgono le risorse umane), ma si continuerà a seguire il dossier». Chi gestisce le critiche sarà veramente indipendente? «Sarà un servizio compliance indipendente, continua l’esperto, lo stiamo affinando». Oggi c’è lo stesso responsabile protezione dati e privacy che già segue queste prassi, il servizio giuridico e un membro della revisione interna. Tutti collaboratori stipendiati dall’Eoc. «Nessuno di noi ha interessi sul campo, l’obiettivo comune è tutelare le normative interne, le persone e l’organizzazione. Per situazioni davvero complesse si può sempre ingaggiare un esterno».
Quando si mettono a disposizione questi sportelli virtuali, c’è sempre un rischio di abuso: «Apriamo il dialogo, ma non dovrà diventare uno sfogatoio per conflitti che possono essere risolti parlando col collega o usando vie di servizio già esistenti». Gli chiediamo infine quali siano le situazioni attese… «Tanto per fare qualche esempio: casi di mobbing, frode, violazione della privacy, problemi di sicurezza, molestie sessuali, casi di questo tipo trattati nel nuovo codice di comportamento», conclude Mrad.