Il 27 giugno 1980 al largo di Ustica si inabissava il Douglas Dc-9 dell’Itavia. Portando con sé le vite di 81 persone e un mistero ancora irrisolto
Quarantadue anni dopo, è ancora buio. Il mistero permane. A quarantadue anni esatti di distanza da quel tragico 27 giugno che segnò il destino di 81 persone (77 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio) a bordo del Dc-9 I-Tigi, spezzatosi in almeno due grossi tronconi e inabissatosi nel mar Tirreno meridionale, tra Ponza e Ustica in quella che appunto ancor oggi è nota come la tragedia di Ustica. A cui risposte vere e ufficiali non ne sono mai state date. Solo ipotesi, alcune peraltro supportate da diversi pareri autorevoli e riscontri, ma, appunto, nulla più. Solo congetture e supposizioni, e nessuna certezza.
Ecco perché a ogni anniversario di quel tragico venerdì 27 giugno 1980 la voce di chi ancora attende spiegazioni e risposte si fa sentire. E assieme a quelle dei familiari delle 81 vittime, si sentono anche quelle di diversi politici. Come quella del presidente della Camera Roberto Fico, secondo cui «ricordare la strage di Ustica oggi significa ribadire con forza la richiesta di verità e giustizia, contro ogni depistaggio, contro ogni falsità. E ribadire l’impegno delle istituzioni per l’accertamento di ogni singolo aspetto di quanto avvenne quella notte nei cieli italiani. A 42 anni da quel 27 giugno rivolgo un doveroso omaggio alle 81 vittime. La mia sentita vicinanza va alle famiglie di chi perse la vita, che con forza hanno mantenuto viva la memoria e la richiesta di verità. A loro va la nostra gratitudine per aver difeso i valori della nostra Repubblica».
«La tragedia di Ustica è una ferita ancora aperta – gli fa eco il Presidente del Senato Elisabetta Casellati –. Mi sono battuta con forza per la desecretazione degli atti e per l’accessibilità degli stessi a tutti i cittadini in nome della verità che non è ancora emersa. Il mio impegno continua per onorare il sacrificio di 81 vittime innocenti e per dare risposte alle famiglie che le attendono da troppo tempo».
Ma cosa accadde alle 20.59 di quel 27 giugno nei cieli sopra Ustica? La risposta, quella vera, ancora non c’è. Ma al suo posto ci sono le diverse piste battute dagli inquirenti. Che hanno portato ad altrettante teorie.
Una prima ipotesi è che il Dc-9 sia stato abbattuto da un missile aria-aria lanciato da un aereo militare. Pur non avendone prove concrete (anche qui c’è chi ha avanzato l’idea che le stesse fossero state occultate), diverse personalità avevano menzionato un’intensa attività internazionale nella zona quella sera, formulando l’ipotesi che il Dc-9 del volo Bologna-Palermo si trovasse per una sfortunata fatalità in quella zona. Ma sul relitto dell’aereo poi recuperato non furono mai ritrovati frammenti riconducibili a un missile, ma unicamente tracce di esplosivo. A ogni buon conto ad avvalorare questa ipotesi vi sono alcune testimonianze datate 2013 che confermerebbero la presenza di aerei da guerra e navi portaerei proprio al largo di Ustica.
A complicare le cose (e a rendere ancora più intricato il mistero e il sospetto di insabbiamento) è il fatto che diversi documenti (non da ultimo alcuni concernenti il tracciato del Dc-9 stesso) furono distrutti o occultati.
Un’altra ipotesi è quella della collisione (totale o parziale) con un aereo militare, sempre rifacendosi all’ipotesi secondo cui nella zona quella sera ci fosse un’intensa attività militare.
Gli inquirenti hanno pure vagliato l’ipotesi del cedimento strutturale, eventualità che tuttavia non ha mai trovato le necessarie conferme nell’analisi dei reperti recuperati (ma nemmeno prove che permettessero di escludere al di là di ogni dubbio questa ipotesi).
Come non è mai stata esclusa la pista della sciagura causata dall’esplosione di una bomba a bordo.
Da piani originali, il volo Lh870 della compagnia aerea Itavia diretto all’aeroporto di Palermo-Punta Raisi sarebbe dovuto decollare alle 18.15 da quello di Bologna-Borgo Panigale. Tuttavia, a causa dell’arrivo in ritardo dell’aereo, un Douglas Dc-9 con sigla I-Tigi, il decollo fu posticipato. Fino alle 20.08, ora in cui l’aereo, con a bordo 77 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio, 113 minuti dopo l’ora prevista, si alza finalmente nel cielo. Tutto lungo la rotta ‘Ambra 13’ va liscio fino alle 20.59, momento in cui i piloti prendono contatto con la torre di controllo di Roma per le normali formalità di volo. Ma quello è anche l’ultimo contatto radio col velivolo, che pochi istanti più tardi, presumibilmente viaggiando a una velocità di 800 km/h e a un’altezza di 7’000 metri sparirà dai radar.
Alle 21.04, chiamato per l’autorizzazione alla manovra di discesa e atterraggio, l’aereo non risponde. E vani si rivelano anche gli appelli successivi, effettuati con la collaborazione da altri aerei nella zona e con il Centro radar dell’aeronautica militare di Marsala. Alle 21.13, orario in cui il Dc-9 I-Tigi si sarebbe dovuto posare al suolo, la pista di Punta Raisi è in subbuglio. Ma sul corridoio di atterraggio non c’è nessun volo Lh870. Sono attimi di tensione, e di apprensione. Nell’aria di Palermo, in quella sera di inizio estate, c’è sì l’odore degli agrumi, ma anche quello ben più sinistro della tragedia.
Alle 21.25, dodici minuti dopo l’orario previsto dell’atterraggio scattano le operazioni di ricerca, la cui direzione viene assunta dal Comando del soccorso aereo di Martina Franca. Alle 21.55, mentre l’aereo viene dato per disperso, si alza in volo il primo elicottero, un Hh-3F, il Sikorsky decolla e inizia a perlustrare l’area dell’eventuale presunto incidente. Vanamente. Le ricerche, infruttuose, proseguono per tutta la notte. Poi, alle prime luci dell’alba un elicottero avvista alcuni detriti galleggianti a circa 110 km a nord di Ustica. Sul posto arriva anche un aereo dell’Aeronautica militare, un Breguet Atlantic, che nella zona individua una larga chiazza di carburante. A poco a poco affiorano altri detriti, e con essi pure i corpi di alcune delle persone che hanno trovato la tragica fine quel maledetto 27 giugno.
Le speranze finiscono lì. L’incubo, invece, deve ancora cominciare, visto che quarantadue anni dopo, i parenti (e non solo loro) una risposta chiara per quella sciagura non l’hanno mai ottenuta.