La fattura della pandemia: calo di ospedalizzazioni e introiti, più costi. Una degenza Covid in cure intense sui 100mila franchi. Chi paga?
Il Covid picchia duro per le finanze di ospedali e cliniche. Oltre al personale, anche le finanze, sono in affanno. Due i fattori che incidono: meno incassi e più spese. Meno introiti nel 2020 a seguito del rinvio di operazioni non urgenti (Il consiglio federale aveva vietato gli interventi elettivi per alcuni mesi) e un calo delle ospedalizzazioni rispetto al 2019 registrato anche nel 2021. E più spese per potenziare le strutture, avere più personale, per materiale sanitario, farmaci, misure di sicurezza. Tanto per farsi un’idea, un paziente Covid passato in cure intense costa all’Ente ospedaliero cantonale (Eoc) sui100mila franchi, senza contare la lunga riabilitazione che segue. Meno incassi e più spese mandano i conti in rosso. Per il 2020, la voragine finanziaria per gli ospedali svizzeri è di 800 milioni di franchi di deficit. Per l’Eoc la perdita 2020 è stata pari a 54.6 milioni di franchi Il Cantone ha in parte coperto i costi, ancora in discussione il rimborso per i mancati ricavi. Nel 2021 la situazione è migliore, ma sempre in rosso.
Anche per la clinica Luganese (vedi box) il 2021 è stato duro: «Abbiamo dovuto usare qualche riserva in più. Se la riduzione di attività si protrae qualche riflessione dovremo farla», spiega il direttore Christian Camponovo.
Alla fine chi paga la fattura? Cantoni, assicurazioni e assicurati, Confederazione? Molti cantoni (tra cui il Ticino) hanno adottato misure di compensazione per tamponare le perdite. Ora cercano di rifarsi sulla Confederazione, che fa orecchie da mercante. La discussione è accesa (vedi box). Per fine 2022 è attesa una valutazione quantitativa sulle ripercussioni finanziarie della pandemia sui costi sanitari. Allora si farà un bilancio. Una cosa è chiara. Il calo di redditività indebolisce gli ospedali, li può rendere meno attrattivi, meno competitivi.
Vediamo come è la situazione in Ticino. Per l’Ente ospedaliero cantonale la pandemia nel 2020 ha avuto un impatto pari a 46.5 milioni di franchi: il 30% per costi straordinari e il restante 70% per la mancata attività (-14% dei pazienti). I bilanci 2021 non sono ancora pubblici ma la tendenza è chiara: «Anche per il 2021 registriamo perdite, ma più contenute. Rispetto al 2019 abbiamo avuto meno pazienti ricoverati, mentre abbiamo assistito ad una crescita dell’ambulatoriale», ci spiega Doris Giulieri Capo Area finanze all’Eoc.
Andiamo con ordine. La voce di spesa più impegnativa legata al Covid è quella del personale. Costi sia per personale assunto in più per le cure ma anche per le ore straordinarie e vacanze non godute. Quest’ultima voce è rimasta invariata anche nel 2021. «Nella prima ondata del 2020, molto personale ha accumulato ore straordinarie per garantire le cure, si lavorava con turni di 12 ore, inoltre abbiamo pagato il pernottamento ai sanitari che si sono spostati a Locarno, dove c’era l’ospedale Covid». Stessi costi, ma per motivi diversi nel 2021: «Con Omicron il problema invece era supplire chi era ammalato, molto personale sanitario era in isolamento o quarantena. I costi sono quindi rimasti invariati», ci spiega Giulieri che è anche nella direzione dell’Eoc.Il Covid è poi costato anche in materiale di protezione, in sicurezza, in personale aggiuntivo per la somministrazione dei vaccini, l’esecuzione dei test, maggiori costi per i trasporti fra le sedi, in nuove apparecchiature come respiratori (finanziati dal Cantone e dati in usufrutto alle strutture sanitarie) e ovviamente in cure erogate. «Un paziente Covid in medicina ci costa in media 15mila franchi, per chi invece passa in cure intense, la fattura sale a 100 mila franchi, senza contare la riabilitazione che segue», aggiunge Giulieri.
A fronte di più spese ci sono meno incassi. Nel 2020, il divieto di interventi elettivi imposto dal Consiglio federale ha portato al rinvio di operazioni non urgenti. «I pazienti Covid non sono bastati a compensare quelli posticipati o rimandati, inoltre chi poteva evitava il ricovero in ospedale, una tendenza continuata lo scorso anno. Nel 2021 l’ambulatoriale è aumentato, mentre le degenze non hanno recuperato i numeri degli anni pre covid. La pandemia ha accelerato una tendenza già in atto, una forte spinta verso l’ambulatoriale a scapito dello stazionario».
Due anni di seguito con perdite che cosa significa per gli investimenti futuri? Sappiamo ad esempio che si è fermato il progetto della piastra di base dell’ospedale Civico di Lugano, ossia la nuova struttura che doveva ospitare la medicina intensiva, 8 sale del blocco operatorio, Pronto Soccorso, eliporto e altri servizi.
Chiediamo a Giulieri se i costi della pandemia potrebbero in futuro incidere sulla qualità e competitività degli ospedali ticinesi: «No, la qualità e la competitività non sono in discussione. A maggio del 2022 sarà inaugurata la nuova ala dell’Ospedale Beata Vergine di Mendrisio, sono già pianificati gli investimenti per il nuovo pronto soccorso presso l’Ospedale San Giovanni di Bellinzona e gli investimenti sulla torre del Civico….», conclude.
Il Covid è un virus costoso: un paziente passato in cure intense all’Eoc costa in media 100mila franchi, senza contare la lunga riabilitazione che segue. I pazienti Covid hanno un rischio doppio di finire in terapia intensiva (il 12% contro il 5) rispetto alle altre ospedalizzazioni e ci stanno più tempo, tre volte tanto (232 ore contro 72). Una volta in terapia intensiva, i pazienti Covid rischiano di essere intubati 4 volte più degli altri (il 40% contro il 9). Questo secondo uno studio dell’Ufficio federale di statistica che ha analizzato l’impatto finanziario e organizzativo della pandemia sulle strutture sanitarie. I trattamenti stazionari sono coperti per il 45% dall’assicurazione malattie obbligatoria (circa 270 milioni nel 2020) e per il 55% dai Cantoni (circa 330 milioni). Un terzo di questi costi riguarda le cure intense.
Anche la Clinica Luganese, in prima fila contro il Covid assieme all’Eoc, tiene duro ma rischia di soffrire come gran parte degli istituti sanitari elvetici, di un calo di redditività. Meno introiti nel 2020 a seguito del rinvio per alcune settimane di tutte le ospedalizzazioni non urgenti (deciso dal Consiglio federale) a fronte di più spese per potenziare le strutture, avere più personale, tenere in Ticino i frontalieri, per materiale sanitario, per le costose cure intense, per le misure di sicurezza. Difficile uscire in pari. «Nel 2020 abbiamo chiuso con un risultato positivo ma davvero risicato. Siamo solidi finanziariamente e abbiamo storicamente un ottimo controllo dei costi. Il 2021 è stato più duro, abbiamo dovuto usare qualche riserva in più. Se la riduzione di attività si protrae qualche riflessione dovremo farla», spiega Christian Camponovo. Una solidità dimostrata anche dall’acquisizione la scorsa estate della clinica Santa Chiara a Locarno. Ma molto si gioca sulle degenze, il loro calo è un problema, soprattutto se il trend continua nei prossimi anni.
Analizziamo insieme la situazione che il direttore della Clinica Luganese fotografa così: «Abbiamo perso molte ospedalizzazioni nel 2020 ed i tanti malati Covid hanno compensato solo in parte le attività, soprattutto quelle svolte in sala operatoria che non potevamo fare. A dirla tutta abbiamo perso anche qualche medico, che ha continuato a collaborare con l’istituto dove si è spostato quando noi dovevamo cura i pazienti Covid».
Per Camponovo, il Ticino ha sofferto più di altri cantoni. «I pazienti avevano davvero paura ad andare dal medico, in ospedale, in clinica. Si rimandavano visite, analisi, interventi. Una tendenza che è continuata, seppur in modo meno marcato, anche nel 2021». Ai timori dei pazienti che stavano alla larga dai nosocomi va aggiunto un altro fattore, che spiega la riduzione di degenze e attività: «C’è stata una sovramortalità che ha interessato soprattutto i pazienti polimorbidi, che sono i grandi consumatori di prestazioni sanitarie». Omicron ha avuto un impatto diverso, ma alla fine il risultato sui conti è simile. «Anche nel 2021, la riduzione di ospedalizzazioni è stata in parte compensata dai pazienti Covid». Sul fronte dei costi causati dalla pandemia, per il 2020 il Cantone ha compensato parte delle spese. «Ci ha riconosciuto il 100% dei costi di investimento e il 70% per le risorse umane. Ma per il 2021 non abbiamo ancora informazioni e poi manca ancora una decisione sui mancati ricavi dovuti alla chiusura imposta dal Consiglio Federale nel marzo 2020».
Anche al direttore Camponovo chiediamo se e quanto i costi della pandemia potrebbero incidere in futuro sugli investimenti, sulla qualità e competitività delle strutture sanitarie che dirige. «Non abbiamo messo in discussione gli investimenti già pianificati, anche perché nella sanità chi investe meno rischia veramente di perdere il passo. Molto dipende da quanto durerà ancora questa situazione. Se il calo delle degenze rimane ai livelli attuali, dovremo rivedere la struttura dei costi, che era calibrata sulle ospedalizzazioni del 2019», precisa Camponovo. Il messaggio è chiaro: «Se non torniamo ai livelli di attività precedenti alla pandemia, dovremo pensare ad un correttivo dei costi. Questo non ci spaventa perché come detto abbiamo una buona solidità che ci permette di continuare ad investire per il futuro, ma è chiaro che le cure dimagranti non si affrontano mai con voglia», conclude.
Per il 2020, la voragine finanziaria per gli ospedali svizzeri è di 800 milioni di franchi di deficit (la perdita dell’Eoc di 54,6 milioni è stata in parte coperta dal Cantone). Nel 2021 la situazione è migliore, ma sempre in rosso per molti ospedali. Molti cantoni (tra cui il Ticino) hanno adottato misure di compensazione per tamponare mancati introiti e costi supplementari patiti da ospedali e cliniche a causa della pandemia. Ora cercano di rifarsi sulla Confederazione che fa orecchie da mercante. Dopo un’analisi intermedia, per fine 2022 è attesa una valutazione finale quantitativa sulle ripercussioni finanziarie della pandemia sui costi sanitari. Allora si farà un bilancio.
Intanto quattro Cantoni, tra cui il Ticino, hanno chiesto al Consiglio federale di contribuire alle spese extra degli ospedali durante la pandemia per poter restare efficienti. Berna ha risposto picche. La pensa così anche la maggioranza della Camera alta, mentre una minoranza, tra cui la deputata agli Stati Marina Carobbio, lo reputa un errore. «Le motivazioni dei contrari sono due: la Confederazione ha sopportato tante spese (come test e vaccinazioni) in tanti settori mentre i Cantoni hanno finanze solide anche grazie ai fondi della Banca Nazionale. Ma ci sono diversità tra Cantoni, non tutti sono ricchi. Per il Ticino significa aggravare ulteriormente i propri bilanci ed avere meno mezzi da investire in un sistema sanitario di qualità», spiega Carobbio. Il capitolo non è comunque chiuso. Ora la palla passa al Nazionale.
«Agli Stati torneremo a discutere dei flussi finanziari tra Confederazione e Cantoni quando avremo il rapporto completo delle ripercussioni finanziarie della pandemia sui costi sanitari». Il problema si pone poi anche tra Cantoni: Zurigo ha chiamato alla cassa i cantoni limitrofi dove sono domiciliati molti pazienti Covid, chiedendo di pagare i costi aggiuntivi non coperti. La situazione è tesa. Mentre Svitto taglia le tasse perché non ha praticamente costi ospedalieri, Zurigo deve accollarsi tutte le spese extra del Covid. «Effettivamente il problema si pone anche tra i Cantoni, soprattutto quelli che hanno ospedali universitari sono sotto pressione».
Un po’ ovunque emerge inoltre che la pandemia ha accelerato una tendenza già in atto, ossia il passaggio dallo stazionario (il ricoveri in ospedale) alle cure ambulatoriali. «In oncologia posticipare un intervento può essere pericoloso, ma per altri ambiti, il Covid ci ha mostrato che alcuni interventi non erano sempre necessari. Il problema è dove vengono caricati i costi. Se l’ambulatoriale aumenta, il rischio è che senza correttivi i premi aumentino. A pagare alla fine saranno gli assicurati. Questo è un grosso tema che ci sta già occupando a Berna», precisa la deputata socialista. La ridotta redditività degli ospedali dovuta alla pandemia rischia di indebolire la capacità di investire, quindi la qualità dei nosocomi elvetici e si teme anche qualche chiusura. «Osservo che la concorrenza tra pubblico e privato spinge a fare grossi investimenti, a volte per nuove infrastrutture, talvolta non giustificati. Mentre un migliore coordinamento delle prestazioni sarebbe più saggio. Il Covid ci ha mostrato anche l’importanza di avere strutture periferiche, l’ospedale multisito con delle specialità forti è stato vincente», conclude.