Caldo e forte vento hanno creato la ‘tempesta perfetta’ di polline. Ne parliamo col dottor Stefano Gilardi, esperto in allergologia
Un naso che cola, in febbraio, non fa notizia. Al massimo, con i tempi che corrono, fa forse più... paura. Paura perché potrebbe anche essere indice di positività al coronavirus. Ma non per forza di cose. Soprattutto in un mese di febbraio come quello che stiamo vivendo, con temperature decisamente sopra la media pluriennale. Chissà quanti, nelle scorse settimane, ritrovandosi a starnutire più del previsto, sono corsi a farsi fare un tampone, o hanno optato per il kit ‘fai da te‘ per verificare la positività. Per poi scoprire, magari con un po’ di stupore, che di infezione da coronavirus non si tratta e tirare così un sospiro di sollievo. Più ‘banalmente’, stavolta c’è lo zampino del polline e delle allergie. Di nocciolo e ontano per la precisione, che rappresentano i due tipi di polline presenti nell’aria con la maggiore concentrazione in questo periodo dell’anno.
«Non è comunque una novità che se ne registrino in quantitativi importanti già a gennaio o febbraio – premette il dottor Stefano Gilardi, dermatologo e allergologo –. Anche perché quantitativi di una certa rilevanza di polline di nocciolo nell’aria alle nostre latitudini si registrano regolarmente già sul finire di dicembre. Tant’è vero che spesso capita che a Santo Stefano, magari approfittando di una giornata mite, ci si goda un po’ di sole in terrazza per poi ritrovarsi col naso che gocciola, dando la colpa, erroneamente nella maggior parte dei casi, a un raffreddamento». A far scattare ‘l’allarme’ negli scorsi giorni è però stata una combinazione di cose: «Da un lato c’era la concentrazione di pollini nell’aria (che, appunto, per quanto concerne nocciolo e ontano di questi tempi è sempre elevata a Sud delle Alpi) e dall’altra il forte vento che negli scorsi giorni ha spazzato un po’ tutto il Ticino. Questo ha portato a far sì che nell’aria si liberasse una quantità ‘esplosiva’ di polline di queste due piante. Quello dell’ontano, poi, ha la particolarità di mettere le persone che hanno quella che in termine medico si chiama una predisposizione atopica in condizione di sviluppare effettivamente un’allergia specifica».
A complicare le cose, per chi soffre di allergie, v’è poi il fatto che il polline di nocciolo, ontano e betulla (la cui concentrazione massima nell’aria generalmente si registra tra fine marzo e metà maggio) è particolarmente leggero: basta un alito di vento per trasportarlo a chilometri e chilometri di distanza. «E non succede solo in pianura: rilevanti quantitativi di queste polveri li si possono ritrovare a più quote. Non a caso, ad esempio, abbiamo l’ontano di pianura, quello di collina e pure quello di montagna. E questo crea le premesse, nel caso specifico dell’ontano, per una seconda ondata». Per le persone allergiche a questo polline, infatti, le fasce particolarmente delicate del calendario annuale sono due: quella che va da metà gennaio a fine marzo e quella compresa tra metà maggio e metà-fine giugno.
Come ‘curare’ un’allergia. O, meglio, come far sì che questi pollini siano meglio tollerati dal nostro corpo? «La terapia classica è quella della desensibilizzazione. Che rimane il rimedio più efficace contro le allergie, e che in questi anni è stata perfezionata. Oggi disponiamo di una scelta meno variata di vaccini: l’industria specializzata ne produce meno, ma più standardizzati. Questo crea le premesse affinché una cura di desensibilizzazione, quando l’indicazione sul tipo di allergia è precisa, dia risposta ottimale. E, generalmente non è necessario seguire la profilassi per tutto l’anno: bastano dei cicli di un paio di mesi, che poi si possono riprendere qualche anno dopo, come richiamo. O ‘booster’, per usare un termine particolarmente in voga di questi tempi».
La desensibilizzazione (o iposensibilizzazione) consiste nell’iniettare nel paziente, mediante una puntura sottocutanea, delle gocce contenenti quelle proteine dei pollini a cui è allergico, affinché crei gli anticorpi capaci di neutralizzare quelli dell’allergia. «Questi ultimi, però, si riproducono molto più velocemente rispetto a quelli della nostra difesa. Ma, alla lunga, i secondi hanno la meglio sui primi. Ed è per questo motivo che la terapia necessita di una serie di cicli di iniezioni anziché una sola puntura affinché possa rivelarsi efficace. Con le conoscenze che abbiamo oggi, in particolare nell’analisi ematica, siamo anche in grado di dire con una grande attendibilità se la cura sarà efficace, scartando dunque a priori i soggetti per cui le premesse di riuscita sono minime».
‘Grazie all’analisi ematica, oggi siamo anche in grado di dire con una grande attendibilità se la cura sarà efficace’
Può però capitare che dopo qualche anno di relativa ‘immunità’, di colpo il nostro organismo si riscopra sensibile a questi pollini. «Ciò avviene essenzialmente per due motivi: o perché il sistema immunologico si è indebolito e non ha dunque più avuto la forza programmatica di produrre gli anticorpi difensivi (‘Igc’), oppure perché il soggetto atopico è stato esposto a un ambiente in cui sono presenti ulteriori stimoli potenzialmente allergici, come possono esserlo gli animali domestici o, ancora, gli acari della polvere o le muffe, portando a un effetto cumulativo».
Naso che cola, occhi arrossati e lacrimazione ininterrotta. Non è necessario essere il Tenente Colombo per individuare una persona affetta da allergia: i sintomi sono quasi lapalissiani. E se, a livello fisico, il disagio che una simile patologia arreca è generalmente limitato, o, comunque, non direttamente pericoloso per la salute, esso può sicuramente rappresentare una sorta di concausa per eventi che possono tradursi sì in qualcosa di più insidioso. «Quello del copertone tagliato sul cordolo del marciapiede dopo aver sbandato con la propria auto a causa di uno starnuto è del resto un classico fra le casistiche dei pazienti affetti da allergie. Altra cosa interessante emersa dagli studi è che chi è allergico al polline di betulla presenta una buona propensione a svilupparne una, stavolta anche al contatto, verso la frutta, e in particolare mele o pere».
E le mascherine con cui abbiamo imparato a familiarizzare nell’’era-Covid’, possono offrire una certa protezione dai pollini? «Sì, chiaramente la mascherina può rappresentare uno strumento utile per prevenire reazioni allergiche in quanto offrono una protezione dall’inalazione dei pollini: più filtranti sono, penso in particolare ai modelli Ffp2 e Ffp3, meglio è».
In proporzione, qual è il polline che crea i maggiori problemi in Ticino? «Quantitativamente, il polline più presente a Sud delle Alpi è quello di castagno, ma che solo in rarissimi casi crea problemi. Grazie ai dati di un rilevatore di polline che ho installato addirittura già 30-35 anni fa sul tetto dell’Osservatorio meteorologico di Locarno Monti ho notato un’inversione di tendenza interessante: negli anni sono calate in modo drastico le pollinosi delle erbe dei prati, mentre sono nettamente esplose quelle di alberi come nocciolo, betulla e ontano, le cosiddette piante ‘pioniere’, che vanno cioè a occupare il posto di altre piante o dei nuovi terreni boschivi».