Nel 1971, ai Giardini Rusca l’esperienza avanguardistica sul tempo libero e le attività per occuparlo
«Nella prima tenda suonavano musica, soprattutto rock. Poi ce n’era una dove si faceva falegnameria e si costruivano velieri; quella della fotografia; un’altra dove si lavorava il gesso e mi feci fare il calco della faccia. Ricordo un grande salone dove venivano proiettati film e il ponte di corda del parco Robinson» (Bruno, allora 14enne). «È stata una bella esperienza, ricordo di aver frequentato soprattutto il padiglione musica» (Moreno). «Per me è stata un’esperienza meravigliosa, anche se mi sono trovato catapultato nell’organizzazione con responsabilità più grandi di me» (Pietro). «All’epoca avevo 16 anni, ho dedicato tutto il tempo libero alla costruzione del Cantiere» (Tom). «A quei tempi andavo al liceo a Lugano, da lunedì a sabato. Quindi non avevo molto tempo per partecipare, in più i miei genitori non erano d’accordo. Ma ci andavo di nascosto. Al Cantiere ho sempre guardato con ammirazione e ho tenuto diversi documenti, anche perché occupandomi di giovani ho sempre guardato a quell’esperienza con interesse» (Francesca).
Gli anni Settanta sono stati un periodo foriero di cambiamenti, non solo nei grandi centri urbani. La vague di moti sociali e sessantottini aveva avuto un forte e determinante riverbero nella società. L’elenco per contestualizzare è certo riduttivo, ma si è deciso di procedere spediti, tanta è la materia. Nel nostro Paese, il 1971 è stato l’anno d’introduzione del voto alle donne, ma si diventava maggiorenni a vent’anni e, in Ticino, chi voleva frequentare il liceo cantonale doveva andare fino a Lugano. In agosto, il progetto dell’architetto Livio Vacchini ha portato per la prima volta in Piazza Grande il Locarno Film Festival, alla sua 24esima edizione. In settembre, Mendrisio ha ospitato i mondiali di ciclismo che san di leggenda con Eddy Merckx e Felice Gimondi. Perché il 1971? Perché nel mezzo, fra il 24 aprile e il 1° giugno, si è svolto ai Giardini Rusca di Locarno il Cantiere della gioventù (CdG), esperimento sociale avanguardistico di autogestione sull‘occupazione del tempo libero, unico nel suo genere in Ticino, di cui parla l’inchiesta realizzata Vincenzo Masotti, mandata in onda dalla trasmissione Tsi ‘Vroum’, il 16 giugno 1971.
In un caldo e appiccicoso pomeriggio incontro Francesca Machado, Pietro Künzle, Moreno Gilardi e Tom Kummer, che mi raccontano cosa è stato il CdG. (Si riporta, sebbene sbagliando, una narrazione corale, onde evitare d’impelagarsi in una selva di virgolettati).
Torniamo nel 1971: il CdG si svolge da aprile a giugno, ma la sua elaborazione risale a due anni prima ed è stata organizzata aprendo il dialogo con le autorità politiche. L’intento è «svegliare dal torpore una città estremamente poco lungimirante». Gerold Meyer, docente in pensione, è la figura generatrice dell’idea (forte di esperienze simili portate oltralpe). Nel 1969 propone a un gruppo di giovani locarnesi la realizzazione di un “cantiere di lavori pratici” che mostrasse al pubblico “la vasta gamma delle attività del tempo libero”.
Il 16 gennaio 1970 c’è un’assemblea orientativa che porta alla costituzione dell’associazione ‘Cantiere della gioventù’, il 17 febbraio 1970. L’organigramma dell’associazione è ben strutturato: assemblea generale, comitato d’azione (ne fanno parte Gerold Meyer, Alfredo Salvisberg detto Kim, Sonja Bourgoin, Peter Zollinger), commissioni, gruppi di lavoro e revisori; stabilendo compiti e competenze di ciascuno. Sei sono le commissioni che si occupano fra le altre cose di costruzione, informazione, finanze, sorveglianza. Ci sono pure commissioni speciali, come quella pedagogica che ha l’onere di studiare i problemi inerenti agli obiettivi educativi, didattici, formativi. Il preventivo per la costruzione del Cantiere è calcolato in 128mila franchi e i fondi per la realizzazione del progetto sono in parte pubblici (da Cantone e alcuni Comuni), in parte ricevuti da sponsorizzazioni di aziende e commerci privati. Soprattutto è stato tirato materialmente in piedi dall’impegno profuso da diversi volontari che hanno creduto nel progetto.
Ci si trova davanti a una vera e propria cittadella autogestita con numerosi padiglioni, ciascuno dedicato a un’attività: musica, teatro, danza, bricolage, fotografia, un parco Robinson, un ristorante, cineforum, dibattiti e discussioni sui problemi della vita sociale. A mandarlo avanti il comitato d’azione e gli animatori, aiutati da esperti.
Recita il manifesto del ’71 – realizzato da Armando Losa –: “Centro sperimentale di occupazione del tempo libero che sorgerà con la collaborazione di tutti i giovani favorendo il contatto umano, l’impiego del tempo libero, la spontaneità e la collaborazione”. Una vera e propria carta programmatica che vuole spronare i giovani a saper scegliere e non subire le proposte soprattutto d’intrattenimento passivo e “avviare un dialogo tra giovani e adulti per contribuire a creare intesa e fiducia tra le generazioni”, avvicinando i giovani ai problemi della società. Gli obiettivi sono molteplici e tutti di un’attualità disarmante.
“Dal momento però che i giovani hanno cominciato ad agire con spontaneità e autonomia, allora ci si è accorti che il Cantiere poteva anche disturbare un certo quieto vivere e alcune coscienze. Il discorso dell’on. Sindaco (Carlo Speziali; ndr) alla chiusura mette abbastanza diplomaticamente in risalto questo fatto”; (da: Lettera aperta del comitato d’azione, gennaio 1972).
Il Cantiere non tarda a creare disappunto, sia in corso d’opera, sia una volta chiuso. Nonostante l’esperimento sociale susciti interesse (chiamando a sé persone dal resto del Cantone e della Svizzera), riflessioni più o meno costruttive e critiche, più o meno pertinenti, non si fanno attendere. Commenti duri e aspri arrivano dalle autorità politiche cittadine, così anche da alcuni abitanti che esprimono riserve e contrarietà dalle colonne dei giornali. Di fatto, allo smantellamento materiale si accompagna quello concettuale, che prende piede già durante lo svolgimento.
Dalle colonne dell’‘Eco di Locarno’ di giovedì 27 maggio ’71, P.M. deplora lo stato del padiglione musica definendolo uno “stallazzo”: “Quest’ultimo mi ha veramente deluso (…) Che clientela! Mi domando se non sia il caso di invitare questi giovani a starsene a casa, di fare un bel bagno e di iscriversi ad un corso di galateo prima di presentarsi tra gente civile. In questo capannone regnavano, oltre al rumore, un acre odore irritante e insopportabile (…) Anche l’atteggiamento assunto da questi ‘lattanti’ è assai ripugnante. In poche parole è veramente uno schifo!”.
L’allora sindaco di Locarno Carlo Speziali, seppur inizialmente sostenesse l’esperienza, durante l’Assemblea straordinaria del 31 maggio 1971, critica aspramente il Cantiere: “Troppi qui ne hanno approfittato per fare della ‘festa’. È l’impegno, a mio parere, che è mancato. Voi avete creato con l’opinione pubblica una frattura che occorrerà superare con serietà (…). Il pubblico ha il diritto di guardare, di criticare e di controllare perché paga e voi dovete fare uno sforzo maggiore. Chi paga acquista certi diritti che voi capirete solo quando pagherete le imposte. Con i soldi della Comunità non si può scherzare”.
Colpisce altresì l’autocritica severa e con pochi sconti. Sebbene emergano elementi positivi, spesso si riscontra una facilità ad autocolpevolizzarsi sul risultato dell’esperimento, sullo scarto fra l’idea originaria e ciò che è stato in realtà, sebbene qualunque esito sia rilevante e foriero di spunti di analisi. Ad esempio, ancora durante l’Assemblea straordinaria, Toni dichiara: “La mia è un’esperienza positiva. Ma voi giovani avete rovinato molti ragazzi per certi esempi non dico scandalosi, ma idioti stupidi”. Dal canto suo, Kim (Alfredo Salvisberg): “Per me ha funzionato molto bene il Forum. Io per esempio e molti altri abbiamo imparato a discutere, ad aprirci e a lavorare assieme, anche se siamo di ideologie diverse”. E ancora: “D’accordo quindi, ci sono molte pecche, ma questa non è la dimostrazione che il Cantiere non si doveva fare”.
L’obiettivo del CdG era realizzare un centro fisso per il tempo libero, che era, anzi è, una questione cardine che riguarda da sempre le giovani generazioni. L’intento era sviluppare il potenziale di ciascun partecipante favorendo l’incontro con gli altri, lo scambio e la socializzazione: “Liberare la vita dai condizionamenti, dando senso sociale”. Oggi come allora le questioni di fondo sono le stesse. Quell’esperienza ha il pregio e il potenziale di mettere in luce nuove idee, la partecipazione spontanea, un’esperienza di autogestione, l’idea potente che i giovani possono esigere qualcosa di più dalla società. Nonostante le critiche, tutto quel gran lavoro non è comunque caduto nel vuoto: dall’esperienza del CdG si sono generate propaggini come il parco Robinson (1983), lo spazio di lettura e riflessione al Casorella che ha in seguito dato vita al Bacilió (1978). Progetto che tutt’oggi continua e che è germinato dal Cantiere è Ces in Val Levetina (Chiesso).
Tuttavia molta è la strada da fare. Ancora oggi, spesso e volentieri, i giovani non hanno voce: non sono quasi mai chiamati in causa e non viene richiesta la loro opinione su fatti che li riguardano da vicino. Senz’altro i temi sollevati da quell’esperienza possono interpellare ancora oggi, in modo sicuramente diverso, la politica giovanile cantonale, dotata sì di una Legge giovani, che però è – sintomaticamente – giovanissima, risale al 1996. Nel corso degli anni si è assistito all’apertura di centri giovanili in diverse parti del Cantone. Tuttavia, l’istituzionalizzazione pone sempre delle criticità, come il controllo da parte degli adulti e una strutturazione calata dall’alto in cui spesso i giovani stan stretti, senza contare che le giovani generazioni si trasformano velocemente, contrariamente alle strutture dedicate, che sono pesantemente azzoppate dalla burocrazia.
In materia di gioventù (ci permettiamo la metafora edilizia) il cantiere dovrebbe essere permanente e i ragazzi i capimastri.
A cinque decenni di distanza, domenica 19 settembre (dalle 14 alle 18) il ’Cantiere della gioventù 1971-2021’ torna ai Giardini Rusca, su proposta di Pietro Künzle, Tom Kummer, Moreno Gilardi, Francesca Machado, Michela Strozzega, Santuzza Oberholzer e Peter Schrembs. La giornata è aperta a tutti: a chi c’era, a chi avrebbe voluto esserci e ai giovani: l’intenzione è coinvolgere più generazioni per esporre le idee di ieri, oggi e le speranze di domani; “per riprendere spirito e genialità dell’impresa di allora”. Soprattutto l’intenzione dei promotori non è quella di mettere in scena “una commemorazione, vogliamo piuttosto proporre una giornata che racconti quell’esperienza straordinaria e alimenti il dibattito sulla questione dei giovani e del loro tempo libero”. (In caso di meteo avversa, verrà rimandata di una settimana).