Il ricordo dell'ormai ex casa dei biancoblù di Nicola Celio, bandiera del club. ‘Per trent'anni l'ho vissuta quasi quotidianamente. Da piccolo era il nostro... passatempo preferito: l'abbiamo esplorata in ogni suo angolo, dentro e fuori dal ghiaccio. Le emozioni più belle? Sono le persone che sono passate da qui. Rimpianti? Non ne ho: ho smesso al momento giusto, senza fare quella che avrebbe potuto essere la stagione di troppo’.
Vent’anni in prima squadra, di cui diversi con la ‘C’ di capitano sulla maglia. Nicola Celio la sua carriera ai massimi livelli l’ha trascorsa per intero con la maglia dell’Ambrì Piotta, di cui è divenuto una delle bandiere storiche. «Ma la mia storia con la Valascia inizia ben prima delle mie prime pattinate con la prima squadra – premette l’ex difensore oggi 48enne –. Da bambino abitavo a 150 metri dalla pista, ragion per cui già dalla mia infanzia ho iniziato a trascorrerci il tempo libero. Del resto, per un giovane di Ambrì era quasi naturale trovarsi con un bastone in mano e i pattini ai piedi: non è che ci fosse granché altro da praticare come sport. Da quando avevo sei anni, e per quasi quarant'anni, ho… mangiato pane e ghiaccio. La Valascia l’ho vista crescere: l’ho frequentata quando ancora un tetto non ce l’aveva, allora avevo 6-7 anni, e pure dopo, una volta posata la copertura, giocandoci anche dentro. Sono cresciuto con lei, vedendo la sua costante evoluzione: negli anni allo stadio sono stati aggiunti diversi ‘pezzi’. Ma non l’ho conosciuta unicamente dalla parte del ghiaccio: per noi ragazzi è stata una fonte inesauribile di giochi. Io e i miei compagni di giochi l’abbiamo girata in lungo e in largo, esplorandone ogni angolo, ogni ripostiglio e cunicolo. Penso che nessuno l’abbia conosciuta così bene come noi. Anche perché, oltre alle partite della prima squadra, andavamo regolarmente a vedere quelle degli Juniores Elite, e con lo stadio vuoto, uno dei nostri passatempi preferiti era quello di infilarci in ogni buco dell’impianto, perlustrandolo da cima a fondo. E questi sono ricordi che ti restano per sempre...».
Assieme a quella dei vari Duca, McCourt e Peter Jaks, appesa sotto le volte della Valascia c’è pure la tua maglia, la numero 8: dunque un pezzo di quello stadio è anche tuo… «Il fatto che il mio numero sia tra quelli ritirati dalla società mi riempie di orgoglio, certo, anche se non era necessario che mi venisse tributato un simile riconoscimento. Indipendentemente dal fatto che la mia maglia sia tra quelle ritirate o meno, so che quanto ho fatto per la società è stato apprezzato, e che in un modo o nell’altro ho lasciato il segno, e questo mi basta. In cuor mio so di aver dato un contributo concreto a scrivere alcune delle pagini più importanti del club: tra il 1989 e il 2009 abbiamo visto e fatto tante belle cose, emozionando migliaia di persone. Per quanto vissuto, sono piuttosto io che dovrei ringraziare la società per l’opportunità che mi ha dato: se metto tutto su due piatti della bilancia, è più quello che ho ricevuto dal club rispetto a quanto gli ho dato io». Rimipianti? «Fondamentalmente no. Quando riesci a giocare per vent’anni in Lega Nazionale A puoi ritenerti più che appagato: ogni stagione è stata un’emozione particolare. Ci siamo divertiti, abbiamo sofferto e sudato: è stata un’avventura straordinaria. Non sono riuscito a vincere un titolo, certo, ma non è una cosa che rimpiango particolarmente: sono persuaso che non mi avrebbe cambiato la vita. In più ho potuto chiudere la mia carriera bene: uno dei miei crucci era quello di terminare per tempo, senza quella ‘stagione di troppo’, e ci sono riuscito. Nei miei piani avrei voluto smettere al termine della stagione 2007/08, ma per una serie di circostanze mi ero fatto convincere a giocare un altro anno. E finì comunque bene, con la salvezza conquistata a Bienne (in gara 6 della finale di playout, ndr)».
‘Rimpianti? No. Vincere un titolo non mi avrebbe cambiato la vita’
E cosa provi ora che l’Ambrì Piotta ha preso definitivamente congedo dalla ribalta della Valascia? «Era inevitabile che prima o poi calasse il sipario: ha fatto il suo tempo come stadio. Se già ai miei tempi era considerato uno stadio piuttosto vetusto, figurarsi ora! E per poter garantire uno standard minimo per ospitare partite ai massimi livelli, i costi di manutenzione erano schizzati alle stelle. Ma l’abbiamo goduta tanto. Da una parte siamo tutti legati a questo impianto, ed è difficile lasciare andare qualcosa a cui si è tenuto tanto, ma sono persuaso che il tifoso dell’Ambrì sarà capace di assimilare il processo di adattamento al nuovo stadio. E, in ogni caso, ripensare alla Valascia farà riaffiorare nella mente ricordi pazzeschi: anche se non ci sarà più come struttura vera e propria, chi l’ha vissuta se ne porterà sempre un pezzo nel cuore. Anche perché certe cose è impossibile dimenticarle, come le emozioni, le vittorie, le sconfitte, e… il freddo che ti entra nelle ossa: quello non lo scordi certo!».
Fra i tanti ricordi accumulati in vent’anni di militanza nella prima squadra dell’Ambrì, qual è il più emozionante legato alla Valascia? «Quando ci trascorri così tanti anni diventa difficile, se non impossibile, trovarne uno in particolare, uno più speciale degli altri. Anche perché per trent’anni o giù di lì l’ho vissuta praticamente quotidianamente. I ricordi più belli sono tutte le persone che sono passate dalla Valascia: più che i fatti, è il ricordo delle persone che vi ho incontrato a suscitare in me le emozioni più forti. Chi, come me, veniva da lì, bene o male conosceva la realtà di questo stadio, ma per chi veniva da fuori era tutta una nuova realtà: vedere la loro espressione al loro arrivo, quasi di sgomento per l’aspetto della struttura, ma poi leggere sul loro volto tutto l’entusiasmo per l’ambiente che vi si respirava era qualcosa di straordinario. Chiunque è passato da qui, anche solo per un paio di partite, se la ricorda ancora questa pista, anche a parecchi anni di distanza. Non so dire quanti ‘Wow’ ho sentito dalle persone di fronte a una Valascia traboccante di spettatori».
È la beffa delle beffe per Elias Bianchi. Che la Valascia l’ha salutata già a inizio autunno. Un infortunio al ginocchio l'ha infatti costretto a congedarsi con largo anticipo dalla pista. Da giocatore, la ‘casa’ dei biancoblù l’ha dunque salutata quando sulle tribune, benché con capienza ridotta, c’era ancora il pubblico. Ma lo stadio l’ha comunque frequentato fino alla fine, «e vederlo così, senza i tifosi, è stato davvero desolante – racconta il 31enne –. Bene o male ho seguito sul posto tutte le partite casalinghe, e ogni volta, vedere la Valascia così desolatamente vuota era come un pugno allo stomaco. È un vuoto che fa impressione, anche a guardarlo da fuori. E la desolazione si è fatta ancora più marcata in occasione dell’ultimo derby in questa pista… Effettivamente, chiudere il capitolo Valascia così, senza pubblico e per giunta da infortunato, è doppiamente triste. Sarebbe stato un finale meno amaro se si fosse riusciti a giocare almeno ancora una partita con il pubblico. Ma, ormai, anche questo ci è stato negato dall’emergenza pandemica. La fine della Valascia l’abbiamo vista arrivare così, come una scadenza che sai che si materializzerà, ma che quando te la ritrovi davanti per davvero, benché tu abbia avuto tutto il tempo per prepararti, non sei ancora sufficientemente pronto per assimilarla. Ora che non c’è più, senti un vuoto simile a quello che si prova quando sei confrontato col lutto improvviso di una persona che fino al giorno prima vedevi quotidianamente. D’altro canto, quando eravamo agli albori della pandemia, un anno e passa fa, nessuno avrebbe immaginato uno scenario simile, né per l’entità di questa emergenza sanitaria, né per il modo con cui abbiamo chiuso il capitolo Valascia».
Quali sono i sentimenti che provi nell’archiviare l’era Valascia? «Qui ci ho passato gran parte della mia carriera e dunque sono parecchi i ricordi che mi tornano alla mente. I ricordi più forti che ho di questa pista rimangono però quelli vissuti da ragazzo, anche perché in seguito, crescendo, l’adrenalina e la concentrazione hanno sempre più occupato la mente, e allora solo durante il riscaldamento, o a fine partita, magari quando dalle tribune intonavano La Montanara, ti facevi prendere dalle emozioni del contesto».
Quali sono i ricordi personali che più ti legano alla Valascia? «Sono tre in particolare. Uno riguarda il gol che avevo segnato per il definitivo 6-4 nel derby del 19 febbraio 2019 (a 1’25” dalla terza sirena, ndr). Il secondo fotogramma che mi torna in mente è la rete realizzata in gara 3 della finale di playout 2017/18 contro il Kloten, tra le più belle (e pesanti) che abbia mai segnato (il momentaneo 2-1). Il terzo ricordo è più datato: alla transenna c’era Constantine, e giocavamo contro il Ginevra. Quella sera avevo disputato una delle mie migliori partite, chiudendola anche con un paio di tiri bloccati. Di per sé questa partita non dirà granché a nessuno, ma io la ricordo bene».
‘Cambiamo casa, ma un pezzo di storia dell'Ambrì sarà per sempre legato alla Valascia’
Chiuso il capitolo Valascia, la prossima stagione si aprirà quello del nuovo stadio: una nuova casa sicuramente più confortevole per i giocatori, ma forse meno coinvolgente per l’ambiente tutt’attorno… «Ci apprestiamo a cambiare casa, ma ciò non toglie che un bel pezzo di storia dell’Ambrì sia per sempre legato alla Valascia. Sul fatto che fosse un passo necessario era ormai chiaro a tutti. Fatta questa premessa, credo che il trasloco nella nuova casa ci offrirà un sacco di opportunità, ma allo stesso tempo presenti diverse insidie. La magia che si respirava a ogni partita alla Valascia era tutta creata dai tifosi: se l’Ambrì era qualcosa di particolare rispetto alle altre squadre era anche e soprattutto per il suo vecchio stadio e per il calore che i tifosi riuscivano a creare. La nuova pista cambierà tutte queste dinamiche; la Curva farà sentire come sempre tutto il suo sostegno, ma in un contesto tutto nuovo e con caratteristiche differenti è difficile stimare che impatto avrà tutto questo».
«Avrebbe meritato un ultimo saluto diverso: è triste che l’ultimo capitolo della Valascia lo si sia dovuto scrivere senza il pubblico sugli spalti», commenta amareggiato Brenno Canevascini, storico esperto di statistiche e tifoso dell’Ambrì Piotta. C’è anche tristezza per il fatto che si sia dovuto mettere il punto finale alla storia dello stadio? «Per natura, non sono una persona che guarda al passato. Preferisco volgere il mio sguardo sempre avanti, alle opportunità che il futuro ha da offrirti. È innegabile che pianga il cuore nel lasciarsi alle spalle uno stadio nel quale abbiamo, e ho, vissuto tante emozioni. Si pensi che il ricordo della mia prima frequentazione della Valascia risale al 1968, quando avevo otto anni». Altri tempi, tempi in cui la Valascia in tetto non ce l’aveva… «Ma la transizione da una pista scoperta a una coperta è meno drastica di quella che ci apprestiamo a vivere ora, perché questo è un trasloco a tutti gli effetti. D’altro canto non si poteva fare altrimenti e, oggettivamente, l’attuale struttura era arrivata al suo limite naturale in fatto di esigenze minime che un simile impianto deve avere. Fatte queste premesse, il fatto di andare in un nuovo stadio lo vedo con occhio estremamente positivo, perché consentirà per parecchi anni a venire di disporre di una struttura all’altezza della situazione, delle esigenze e non da ultimo più accogliente per il pubblico. Oltre a tutto ciò, la nuova pista risponde anche a tutti i criteri di sicurezza (si pensi ad esempio all’eventuale evacuazione dello stadio in caso di problemi, cosa che alla Valascia avrebbe posto non pochi grattacapi, o alla questione della gestione del traffico da e per la pista…). Certo, forse a livello di fascino non sarà simile alla Valascia, ma come si fa con tutti gli oggetti d’antiquariato, occorre anche sapersene distaccare». Non c’è rischio che, cambiando casa, l’Ambrì Piotta perda parte di quella sua identità di club di montagna? «Cambia solo la casa, ma non il contesto del club: in linea d’aria lo spostamento sarà di 3-400 metri e, poi, il nuovo stadio è situato alle pendici del Ritom, quindi in un perfetto contesto montano, esattamente come prima».
Il ricordo più bello legato alla Valascia? «Ne ho vissuti così tanti che ne potrei fare un lungo evento di momenti salienti. Ma se devo indicarne uno, citerei il derby di domenica 11 dicembre 1994, il 90esimo derby della storia: sotto di 3-5 alla seconda pausa, l’Ambri riuscì a girarlo nel terzo periodo, trascinato da Kamensky e Peter Jaks, imponendosi per 6-5».
‘L'attuale struttura era arrivata al suo limite naturale in fatto di esigenze minime’
Nonostante la sua passione e il grande attaccamento alla squadra, quest’anno Brenno Canevascini l’Ambrì l’ha seguito da lontano: «Dal vivo quest’anno non ho visto nemmeno una partita, ma non certo perché sia venuta meno la mia passione per la squadra. La mia è stata un’assenza dolorosa, ma imposta dall’emergenza sanitaria: se alla Valascia non ci sono andato è semplicemente per timore del coronavirus. In autunno, quando gli stadi erano ancora parzialmente aperti al pubblico, la tentazione di rimettermi in strada direzione Ambrì l’ho avuta, ma poi ha prevalso la prudenza: pur nella consapevolezza della bontà e dell’adeguatezza dei piani di protezione, alla fine ha prevalso… l’istinto di conservazione».