Presentato alla Fonoprint di Bologna il disco del '91 con altri preziosi inediti ai tempi degli Idoli, sua band dal '66 al '72. E da Berlino 71, un documentario
Bruno Cabassi, organo e tastiere; Giorgio Lecardi, chitarra e batteria; Beppe Barlozzari (chitarra e voce); Emanuele Ardemagni detto ‘Manoli’, basso; Renzo Fontanella, violino, flauto e basso. Sono il nucleo degli Idoli, e accompagnano Lucio Dalla, voce. O meglio, lo hanno accompagnato dal 1966 al 1972, e lo stesso hanno fatto altri componenti come Daniela Casa, Remigio Ducros, Luciano Bovi e Giovanni Pezzoli, poi batterista degli Stadio. Gli Idoli sono gli strumentisti di Lucio in ‘1999’ (album d’esordio del 1966), ‘Terra di Galibola’ (1970) e ‘Storie di casa mia’ (1971), il disco di ‘4/3/1943’, canzone ma anche album della svolta, con dentro ‘Il gigante e la bambina’ e ‘La casa in riva al mare’.
Ardemagni, Fontanella, Lecardi e Cabassi sono anche Gli Idoli di ‘Geniale?’, album di Lucio Dalla uscito nel 1991, una manciata d’inediti registrati dal vivo tra il 1969 e il 1970, ora rimasterizzati dai nastri originali e farciti con registrazioni inedite, il tutto restaurato da Maurizio Biancani, ingegnere del suono degli studi Fonoprint di Bologna, dove ieri è andata in scena una parziale reunion degli Idoli – Lecardi in studio e Cabassi da casa sua – in occasione di questa riedizione in doppio cd, LP, doppio LP, con libretto annesso per tutti i formati. Cofanetto che va ad aggiungersi alle già edite riedizioni di ‘Com’è profondo il mare’ (1977), ‘Lucio Dalla’ (1979) e ‘Dalla’, (1980) e la raccolta ‘Duvudubà’ (2018), voluti da Sony Music e Pressing Line.
'Non è un disco per puristi dell’hi-fi, è monofonico, ma i due microfoni distinti, con tutto lo ‘sporco’ di luoghi che spesso sono balere, sono quasi una registrazione multitraccia'
In ‘Geniale?’ si ascolta dal vivo l’astro nascente (in verità già nato) in brani di Migliacci, Pallottino e Bardotti, ma pure in un repertorio funk e soul che tocca classici come ‘Georgia On My Mind’ e ‘Summertime’, in una lingua inglese di pura fantasia dentro un fiume d’improvvisazione di tipo jazzistico. «È la prima operazione di restauro di quella che si potrebbe chiamare la preistoria di Lucio, oltre al recupero degli Idoli, band forse dimenticata ma che è stata fondamentale nel percorso di formazione del Dalla artista», spiega Maurizio Biancani dagli studi bolognesi. Idoli che brillano per duttilità e precisione. Le registrazioni vengono da un microfono appoggiato su di una sedia, davanti alla batteria da Lecardi, e dal mixer, la voce e le tastiere: «Non è un disco per puristi dell’hi-fi, è monofonico, ma i due microfoni distinti, con tutto lo ‘sporco’ di luoghi che spesso sono balere, sono quasi una registrazione multitraccia che mi ha permesso di valorizzare la voce di Lucio».
A ‘Geniale?’ si arriva in modalità ‘Scatola dei ricordi’. «Tanti anni fa – racconta Giorgio Lecardi – prestai i nastri con le nostre registrazioni a un amico collezionista. Mi dimenticai di averglieli dati e un bel giorno, per onestà, lui mi chiamò e mi disse: “Ho dei nastri con su scritto ‘Lucio Dalla’: sono i tuoi?”». Se il destino che nel 2012 transitava da Montreux non avesse deciso diversamente, Dalla si sarebbe calato volentieri sul materiale inedito rimasto fuori dalla prima edizione di ‘Geniale?’, scartato perché di qualità inferiore al resto. Lecardi ne è convinto. E degli Idoli dice: «Eravamo il gruppo che lo accompagnava, una band non autonoma, ma dimenticata troppo in fretta, mi sento di dire. Questa nuova pubblicazione restituisce attenzione a un gruppo che a mio parere merita tanto, anche perché abbiamo vissuto la prima parte di Lucio, che è stata anche sofferta». Perché Lucio «ha cominciato a veder rose solo dopo ‘4/3/1943’».
'Qualis cestista pereo!'
Alla Fonoprint c’è anche Marino Bartoletti, giornalista, autore e conduttore televisivo. Parla del nuovo ‘Geniale?’ come di «un reperto archeologico che per la musica vale quanto i ritrovamenti della Valle dei Re per l’archeologia». Perché dentro quelle registrazioni c’è «il pre-Lucio e tutto il resto, creatività, simpatia, capacità vocale. Non sa una sola parola d’inglese se non ‘Summertime’, e il resto è pura fantasia, è gramelot. Dario Fo potrebbe invidiarlo». Dice bene Bartoletti, perché anche in ‘Georgia On My Mind’, il cantante pronuncia la parola “Giorgia” e null’altro di anglosassone, se non varianti di “duvudubà” che sono parte del groove.
Bartoletti ricorda il tutt’altro che esaltante esordio sanremese di Lucio, ‘Paff... Bum!’, in gara nel 1966 con gli Yarbirds – sì, «gallinacci da cortile, come li chiamò al tempo Mike Bongiorno», ma di lì passarono Clapton, Page e Jeff Beck – e soprattutto ricorda il primo incontro: «Facevo un giornalino che si chiamava ‘Pressing’; gli chiesi un pezzo sul basket e lui produsse un inno d’amore alla Virtus Bologna intitolato ‘Qualis cestista pereo!’, liberamente ispirato a ‘Qualis artifex pereo!’» (“Quale artista muore con me!”, quanto avrebbe detto Nerone in punto di morte secondo Svetonio, autore di ‘Vita di Nerone’, ndr). E per coprire gli scoperti di conto del Bartoletti giovane editore, Dalla arrivò a organizzare un concerto a Panighina di Bertinoro.
'Il musicista non esiste perché conosce la musica, ma perché la musica ce l’ha dentro. Lo studio, se lui vuole, viene dopo. Lucio era un istintivo, non gliene fregava nulla di sapere'
Dice Bruno Cabassi: «Lo conoscevo dal 1964, ci vedevamo spesso alla Grondaia (locale di Bologna dedicato al cabaret, ndr). Venni a sapere che sarebbe andato a Sanremo e gli dissi che avevo un gruppo. Mi chiese se fossi disponibile a suonare per lui, dissi subito di sì. Gli unici brani in repertorio erano ‘Paff... Bum!’ e ‘Georgia On My Mind’, il resto lo inventavamo al momento».
Per chi non lo sapesse, quando a parlare sono i musicisti, assai più che i frontman, scatta l’aneddoto. E quando scatta l'aneddoto, i musicisti non li fermi più: «Una volta, a Riccione, Lucio perse la voce: fischiò per tutta la sera. Un’altra volta, in un altro club, non c’erano molti soldi e andammo in due: ci garantirono la presenza di un pianoforte, ma era distrutto; Lucio chiese che fosse fatto andare il juke box, e cantò sopra le canzoni. Al club piacque moltissimo. Una volta, mentre suonavamo a Garlasco, una ragazza gli tirò una manciata di coriandoli nell’attimo esatto in cui lui stava inspirando: i coriandoli gli entrarono in gola e Lucio la rimproverò dal palco» (il “sei cattiva” è nel disco). Aneddoti brasiliani: «Nel 1968, a Rio de Janeiro, facemmo un tour di un giorno: registrammo ‘Hai una faccia nera nera’ e poi ci portarono in giro per una serata dietro l’altra fino a notte fonda; alle 4 e mezza del mattino arrivammo in una caserma dei pompieri e suonammo anche lì».
Al di fuori dell’aneddoto: «Lucio è stato un dono, mi ha aiutato nella mia carriera di musicista», aggiunge Cabassi, già insegnante al Conservatorio di Ferrara e direttore d’orchestra. Un dono, però, impossibile da ricambiare: «Inventava sul momento. Fuorché la chitarra, riusciva a suonare qualsiasi strumento senza sapere né leggere né scrivere la musica. Cercai d’insegnargli qualcosa, mi disse “Bruno, non fa per me”. Il motivo: «Il musicista non esiste perché conosce la musica, ma perché la musica ce l’ha dentro. Lo studio, se lui vuole, viene dopo. Lucio era un istintivo, non gliene fregava nulla di sapere».
'‘4/3/1943’ la suonavamo ovunque prima di Sanremo. Se mai se ne fossero accorti, Lucio non ci sarebbe mai potuto andare'
Alla Fonoprint c’è pure Umberto Righi alias Tobia, di Lucio Dalla il manager di una vita: «Vi dirò la verità su ‘4/3/1943’: la Rca presentò il pezzo di Lucio a Sanremo senza convinzione da parte di entrambi. Ci chiamò il capo degli artisti Rca, dicendoci che si sarebbe potuto fare il Festival a patto di cambiare il testo». Via il titolo, ‘Gesubambino’, via altro come “anche adesso che bestemmio e bevo vino, per ladri e puttane sono Gesù Bambino”, divenuto “e ancora adesso che gioco a carte e bevo vino, per la gente del porto mi chiamo Gesù Bambino”. «Il regista Piero Vivarelli e lo scrittore Osvaldo Bevilacqua erano fan della canzone, quando Lucio arrivò a Sanremo lo accolsero come fosse stato Springsteen. Ma senza quel mezzo scandalo saremmo passati inosservati», conclude Tobia. Cabassi ci mette il resto: «‘4/3/1943’ la suonavamo ovunque prima di Sanremo. Se mai se ne fossero accorti, Lucio non ci sarebbe potuto andare...».
di Ugo Brusaporco
Tra i film presentati a Berlino 71, nella sezione Berlinale Special è stato presentato il documentario ‘Per Lucio’ di Pietro Marcello, un film dedicato a Lucio Dalla (Bologna, 4 marzo 1943 – Montreux, 1º marzo 2012), uno dei cantautori italiani più famosi e originali. Pietro Marcello, 45enne regista casertano – a parte un'incursione nella fiction con il premiatissimo ‘Martin Eden’, presentato nel 2019 alla Mostra di Venezia – è autore ben conosciuto nell'ambito documentario. Il suo ‘La bocca del lupo’, selezionato a Berlino nel 2010 nella sezione Forum, aveva vinto il Teddy Award e il Caligari Film Prize. Ora, nell'affrontare il tema ‘Lucio Dalla’, dà prova di un’originalità che lo porta lontano dalle solite sinossi da Wikipedia, che sono il male pandemico che affligge la cinematografia documentaria oggi. Soggetto del suo dire è, insieme a uno sviluppo biografico del musicista, la contemporanea tragica evoluzione della Storia italiana del secondo dopoguerra, in un affresco che obbliga a una terrificante riflessione. Si tratta di una lettura del personaggio attraverso le se sue parole, i suoi testi, le sue scelte che vanno dallo Zecchino d’Oro alla Fiat che Agnelli cede alla Libia di Gheddafi, al suo incontro e confronto con Bettino Craxi per la crisi dei missili a Sigonella. E in mezzo, per il bolognese Lucio Dalla, c'è il più tragico attentato della storia italiana repubblicana, il 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna.
Pietro Marcello pone Dalla in un quadro politico preciso, necessario a capire un cammino individuale che si compie in una scena più ampia, che lo segna e determina. Il film si apre con un anziano che nel cimitero di Bologna va a portare dei fiori sulla tomba di Lucio Dalla; scopriamo che è Umberto (Tobia) Righi, il suo manager, come si presenta, dall'inizio della sua carriera da solista. Nello stesso cimitero, lo stesso uomo porta altri fiori sulla tomba di Roberto Roversi (Bologna, 28 gennaio 1923 – Bologna, 14 settembre 2012), non solo un poeta, non solo il collaboratore di Dalla per tre album che ne segnarono la crescita artistica, ma l’uomo che per il suo peso civile – partigiano, poi insieme a Francesco Leonetti e Pier Paolo Pasolini fondatore e direttore della storica rivista Officina, e direttore del quotidiano comunista Lotta Continua – ne segnarono una precisa crescita di pensiero. E ancora, nella biografia, il suo essere protagonista dell’epocale passaggio di una società da contadina a industrial-finanziaria, con la massificazione in grigi palazzoni, in fabbriche inumane in una indeterminazione sociale e culturale i cui frutti oggi paghiamo. E Lucio Dalla, per il regista, è il cantore cosciente di questa epocale transumanza umana di cui diventa colonna sonora. E Umberto (Tobia) Righi è il nostro Virgilio in questo infernale cammino che illumina con i suoi ricordi e con l'incontro con uno degli amici di sempre del cantautore, il filosofo bolognese Stefano Bonaga, quasi coetanei. Dalla è del ‘43, come spiega la sua famosa canzone, Bonaga del 1944, e la sua fama è oggi più legata al gossip (i suoi sette anni di matrimonio con Alba Parietti) piuttosto che al suo insegnamento all'Università di Bologna, ai suoi libri, ai suoi aforismi, tra cui ricordiamo: “Il Cristo è l'unico dio che ha avuto l’adorabile idea di sacrificarsi”.
Tra il filosofo e il manager la figura di Dalla ne esce umanamente eroicizzata tra la vanità di superare la calvizie con un impianto di Cesare Ragazzi alla mania di accumulare case; ne esce il suo bisogno di amore, la sua capacità di prenderlo e darlo, la sua continua ricerca di crescere, lo sforzo di mediare il pensiero politico del dire con il bisogno di essere compreso dal grande pubblico. Alla fine, Pietro Marcello riesce a comporre un omaggio convincente ed emozionante a Lucio Dalla, una figura che risulta importante non solo per le sue canzoni, che fanno da prezioso condimento al film, ma per la sua capacità di essere protagonista di un periodo determinante della storia di un paese che è franato sotto i suoi occhi.