Dopo il Covid, continuano a stare male, succede ad 1 su 4. Parlano medici e pazienti. Chiedono a Berna cure adeguate e coperture assicurative
Chantal Britt, 52 anni, si definisce una persona molto ‘fit’, sempre attiva, allegra, si allenava regolarmente lungo il fiume Aare e correva due maratone l’anno. Una vera sportiva, tra i suoi hobby tennis, squash, snowboard e nuoto. A marzo ha avuto uno stato influenzale, non grave, era il Covid. Dopo sono iniziati i problemi. A undici mesi dall’infezione la zurighese e madre di tre figli, ha il fiatone e il cuore in gola a fare le scale, correre proprio non se ne parla. “Non sono più io, non riesco a respirare come prima, mi affatico subito e ho difficoltà a concentrarmi”, racconta. I medici le hanno riscontrato un'infiammazione del muscolo cardiaco e una capacità polmonare ridotta, come quella di un fumatore accanito e in sovrappeso. Lei che ha sempre avuto una vita super sana e sportiva. Il Covid le ha giocato un brutto tiro. Eppure l’ex giornalista non è stata con le mani in mano, visto l’alto numero di persone nelle sue stesse condizioni e la drammatica carenza di informazioni ai pazienti, ha creato un sito internet e un gruppo Fb per chi soffre di Long Covid. Oggi gli iscritti sono mille, è un punto di riferimento in Svizzera per chi si sente solo e lotta per un riconoscimento, per avere diagnosi e cure accurate, un sostegno specializzato, una copertura assicurativa adeguata: “In Svizzera non ci sono informazioni da parte dell’autorità per chi soffre di long covid, mancano studi, linee guida per gestire i nostri casi, team multidisciplinari negli ospedali che sappiamo come curare i pazienti. Le casse malati dopo due settimane di riabilitazione non pagano più”, spiega Britt. Lei nella sfortuna ha la fortuna che può lavorare da casa. “Altri sono su una sedia a rotelle, prima erano docenti o operatori sanitari, e non ce la fanno a tornare attivi. Ci sono anche giovani studenti che dopo il Covid hanno dovuto sospendere gli studi, non riescono a concentrarsi e sono molto affaticati”, precisa.
Come Chantal, anche Sabrina, Sibill e Drago stanno vivendo sulla loro pelle l’altra faccia del covid, quella che ti mette Ko per mesi e raccontano alla Regione la loro esperienza.
Si inizia soltanto ora a parlare di long Covid in Svizzera, dove i ricercatori stimano che ne siano affette da 250'000 a 300'000 persone. Mica poche. “Il sistema sanitario e quello sociale devono essere pronti, anche i medici di famiglia”, dice il professor Milo Puhan, professore di epidemiologia all’università di Zurigo. Coordina il programma nazionale Corona Immunitas (conta una quarantina di studi) che fornisce alla politica dati scientifici per poi decidere come gestire la pandemia. Il suo team sta seguendo 1500 pazienti long Covid, 400 erano della prima ondata primaverile. I principali disturbi post Covid sono stanchezza paralizzante, mancanza di respiro, dolori articolari, depressione, difficoltà a concentrarsi e possono durare per mesi. Prima del Covid, vivevano al massimo. La malattia li ha distrutti fisicamente, alcuni anche psicologicamente. Ne soffre uno su quattro (il 39 % degli ospedalizzati, il 23% dei non ospedalizzati). “Sono percentuali alte, ma va detto, anche per sdrammatizzare, che i casi davvero gravi sono uno su dieci”, precisa. Anche il medico (vedi box a lato) sottolinea come servano studi, ma anche approcci terapeutici per far tornare queste persone nella vita attiva e avere le copertura assicurative.
Mentre nel Paese si moltiplicano gli appelli affinché il Governo appronti una strategia per garantire diagnosi e cure adeguate, come pure il loro finanziamento, alcuni ospedali universitari offrono consulenze mirate, e la politica fa i suoi passi. La Commissione sanitaria del Consiglio degli Stati ha sottoposto al Consiglio federale il postulato ‘garantire alle persone che soffrono di conseguenze a lungo termine dell'infezione da Covid un trattamento e una riabilitazione adeguate’. Il titolo dice già tutto. “Il Governo è incaricato di presentare un rapporto, vogliamo sapere come vengono curati questi pazienti, chi finanzia i trattamenti e quali sono le conseguenze dal punto di vista assicurativo, di assunzione dei costi”, spiega la deputata socialista Marina Carobbio. “Molte persone, parecchi mesi dopo la fase acuta, soffrono ancora di disturbi invalidanti e faticano a riprendere l’attività lavorativa. Chi si assume questi costi? Servono risposte ora e studi per capire questa nuova sintomatologia, come si manifesta, come curarla. Non possiamo lasciare queste persone sole, tra loro ci sono anche tanti giovani”, precisa Carobbio. La ticinese ha sollevato la questione nella commissione della sicurezza sociale e della sanità degli Stati che ha fatto suo il tema, se ne discuterà nella sessione di marzo. “Non è una malattia da sottovalutare, colpisce anche chi è in salute, danneggiando più organi, dobbiamo saperne di più, studiare i discorsi di chi fatica a riprendersi e dobbiamo farlo ora. Pensiamo sia importante che la Confederazione investa nella ricerca per analizzare l’evolvere dei sintomi”, precisa Carobbio.
La luganese Sibilla Panzeri, 29 anni, è abituata ad una vita piena di appuntamenti, ama fare trekking in alta montagna, una passione che ora le costa molta più fatica, per via del Covid. Si è ammalata ad ottobre. “Purtroppo ho contagiato mia mamma, lei se l’è cavata con un raffreddore, io sono rimasta bloccata a letto per due settimane, appena mi alzavo avevo la tachicardia. Non avevo febbre, ma un forte mal di testa, mi mancava il respiro e una stanchezza devastante, non riuscivo a stare sveglia”, racconta la storica dell’arte che lavora a Zurigo per Pro Helvetia. Sono trascorsi tre mesi, ma le energie non sono tornate. “Dopo il lavoro mi addormento sul divano anche senza cena, prima uscivo, ora sono molto affaticata, se devo parlare a lungo ho il fiatone come se avessi fatto jogging. Fare trekking è ancora possibile, ma non con la solita forza ed energia”, racconta. La 29enne non si scoraggia e la prende con filosofia. “Ci vorrà del tempo affinché il mio corpo torni quello di prima. Anche mia amiche che hanno fatto il Covid hanno il fiatone a fare le scale. Voglio rimanere positiva”, conclude.
Erano i primi di marzo quando il Covid ha letteralmente travolto Sabrina Melchionda, 50 anni: poco meno di due mesi con la febbre che non se ne andava, poi una lenta e graduale ripresa ad ostacoli. Il periodo che ne è seguito è stato duro a causa di dolori, in particolare alle gambe, che non le hanno dato tregua. La giornalista, madre di un adolescente, ha dovuto dar prova di grande pazienza. “Ho avuto un polmone parzialmente infiltrato dal virus; ma per fortuna sono riuscita a curarmi a casa, seguita dalla mia dottoressa che ringrazio”. Dopo la lunga fase acuta, rimettersi in piedi non è stata una passeggiata per gli strascichi che il virus ha lasciato nel suo corpo. “All’inizio ero in affanno dopo una semplice doccia e anche per piccoli spostamenti avevo il fiato corto. Dopo alcune settimane dal contagio, su consiglio dei dottori per evitare rischi di trombosi o embolia, mi sono imposta di fare ogni giorno qualche passo in più. Ho iniziato compiendo un giro attorno alla casa”, ricorda.
Dopo la fase acuta, per mesi la giornalista ha sofferto di grande stanchezza, vuoti di memoria, e la cosa forse peggiore, dolori forti e persistenti: dapprima in tutto il corpo e poi, pian piano, solo alle gambe. I medici le hanno prescritto vari tipi di farmaci, che non avevano però avuto effetto. L’unico modo per attenuarli era camminare. “Letteralmente un passo alla volta, sono arrivata a compiere lunghe passeggiate, fino anche a cinque ore o più; e nei giorni seguenti stavo meglio”. Altra stranezza post Covid, le preferenze per i cibi. “Due esempi: prima detestavo il cioccolato amaro, ora a quello al latte preferisco quello altissima percentuale di cacao; mentre la pasta, che mi piaceva, non riesco più a mangiarla”. Il gusto l’ha perso per alcune settimane e poi ritrovato. “Ma ancora ultimamente mi è sorto il dubbio di non averlo recuperato appieno: per la mia famiglia, infatti, a volte cucino pietanze eccessivamente speziate, che a me, invece, non sembrano affatto piccanti”, aggiunge.
Insomma alcuni cambiamenti sono gestibili, ci si adatta, mentre coi dolori la convivenza è stata più dura. “A distanza di quasi un anno, specialmente quando non ho occasione di andare a fare lunghe camminate per diversi giorni, le gambe tornano a far male; sebbene ora si tratti di un fastidio più sopportabile”.
Le chiediamo se abbia trovato professionisti preparati, che sapevano come aiutarla, visto che il Long Covid è nuovo per tutti. “Mi sono sempre sentita presa a carico dalla dottoressa che mi ha seguita durante malattia e convalescenza; ho subito numerosi controlli e sono stata vista da vari medici. Essendomi ammalata all’inizio della pandemia, però, un decorso lungo non era ancora un effetto così noto, perciò gli stessi medici non sempre avevano delle risposte”, conclude.
Tre mesi fa Drago Stevanovic, 66 anni, ha preso il Covid: febbre per 4 giorni e forte mal di testa. “Secondo il mio medico ho evitato l’ospedale grazie ad un medicamento per la pressione che prendo”, racconta il fotografo del Luganese, da poco in pensione. Le ripresa è una maratona ad ostacoli. “Passata la fase acuta, ero molto affaticato, non riuscivo a concentrarmi”, dice. I medici lo rivoltano come un calzino, fanno analisi al cuore e fegato, i valori sono sballati, nei polmoni ci sono tracce di infiammazione. “Avevo l’impressione che non sapessero bene cosa fare. Mi hanno consigliato di camminare ed lo faccio. Prima andavo più volte a settimana in palestra, ora ho il fiato corto a camminare“. Ora il fotografo sta lavorando ad un libro. “Dopo qualche ora sono stanchissimo, prima non era così”. Non ha perso il gusto, ma ha cambiato gusti: “Amavo i pomodorini, ora mi vengono contro”. Altri ‘regali’ amari del Covid sono dolori articolari e risvegli notturni. “Prima dormivo bene”. Malgrado i problemi cerca di star su e andare avanti.
Indipendentemente dalla gravità della malattia e dal fatto di essere stati ospedalizzati o meno, diverse persone (una su quattro) che hanno contratto il Covid soffrono di disturbi a lungo termine (oltre 12 settimane) con intensità diversa come stanchezza, mal di testa, tosse, respiro corto, difficoltà a concentrarsi, dolori muscolari, insonnia, palpitazioni, depressione e ansia. Sono i risultati dello studio del team dell’epidemiologo Milo Puhan dell’università di Zurigo. In una prima fase la ricerca ha preso in esame 437 pazienti: uno su quattro (il 39% degli ospedalizzati, il 23% dei non ospedalizzati) ha detto di non essersi ripreso completamente nei sei mesi successivi all’infezione. Quelli molto debilitati sono meno: “Uno su dieci è ancora in cattiva salute e molto limitato nella vita quotidiana. Vediamo persone di tutte le età, alcuni hanno avuto decorsi lievi, ma sviluppano disturbi in seguito. La paletta è molto vasta, i sintomi più frequenti sono stanchezza, fiato corto sotto sforzo, difficoltà a concentrarsi, depressione. Anche se ansia e depressione potrebbero anche essere legati alla situazione pandemica che viviamo”, precisa l’epidemiologo. La ricerca continua a Zurigo con 1’500 persone, tutti hanno avuto il Covid: “Siamo solo all’inizio, da agosto seguiamo altri mille pazienti”.
È presto per tirare conclusioni, si ipotizza che le reazioni infiammatorie innescate dal Covid su più organi non si placano dopo che il virus è stato eliminato. “Molte domande sono ancora senza risposta. Pensiamo che la perdita del gusto sia il segnale che il virus ha intaccato il sistema nervoso centrale, dove può scatenare infiammazioni che spiegano sintomi neurologici come la difficoltà a concentrarsi, la stanchezza debilitante. Ma ci muoviamo ancora nel campo delle ipotesi”.
I ricercatori stimano che in Svizzera da 250'000 a 300'000 persone siano affette da long Covid. “Il sistema sanitario e il sistema sociale devono essere pronti, anche a livello assicurativo ci sono questioni da risolvere per chi, dopo il Covid, non può rientrare al lavoro per diversi mesi. Anche i medici di famiglia devono sapere cosa aspettarsi”, avverte l’epidemiologo.
In Ticino, il professor Marco Pons, segue diversi pazienti long covid. “Il 10% dei pazienti non ricoverati ha sintomi che persistono a lungo e non sappiamo per quanto tempo andranno avanti. Si ipotizza possa essere una risposta immunologica anomala, ma di certo non c’è ancora nulla”, spiega il primario di medicina interna e specialista in malattie polmonari all’ospedale regionale di Lugano. Che cosa consigliare allora a chi faceva due maratone l’anno e 6 mesi dopo un leggero Covid ha il fiatone a fare le scale. “Ci vuole pazienza, bisogna curare l’alimentazione, uscire a fare movimento con le debite precauzioni. La maggior parte dei pazienti migliora”, precisa il prof. Pons, docente di medicina all’università di Ginevra. Il paziente se nota la persistenza di sintomi, consiglia il dottore, deve comunque parlarne con il medico di famiglia.
A Lugano il servizio di pneumologia ha curato uno studio su pazienti ricoverati per una polmonite da Covid: “Tre mesi dopo essere guariti la metà faceva ancora fatica a respirare e l’80% aveva residui nei polmoni visibili alla Tac”, precisa.
Un grande ruolo ora lo giocano i medici di famiglia: “Hanno due compiti principali, curare quel 10% dei pazienti che manifesta sintomi persistenti e identificare chi ha qualcosa che non va e necessita di cure più specialistiche. Importante è valutare come la situazione evolve e considerare le comorbilità del paziente. Il Covid come ogni virus che colpisce le vie respiratorie potrebbe favorire l’insorgenza dell’asma”, conclude.