Cosa vogliono nell’immediato gli elettori statunitensi? Chi ha votato Trump e chi ha votato Harris? Quali aspettative e visioni hanno gli amici americani liberaldemocratici? Ciò che non si capisce mai bene è riposto nella psicologia collettiva e profonda di una regione o nazione, di un territorio legato a una cultura etnica e alla sua storia. E la storia si riscrive senza sosta dall’alba dei tempi. Gli americani erano europei spinti da libertà, hanno occupato un vasto territorio, naturalizzato tanti immigrati, coltivato l’agone di libertà dal tenore incontinente, hanno infine alimentato l’intolleranza dei propri confinamenti di qualunque sorta essi siano. Gli americani controllano da tempo le rotte marittime, navigano non lontano da Taiwan. I cinesi da parte loro sono pronti militarmente. Gli uni vogliono il loro impero, gli altri vogliono il loro impero. Sentimenti e attese da una parte e dall’altra nutrono un agone indistruttibile, che i governi non fanno che intercettare. Allora questa è la scena: se un governo è democratico, autocratico o teocratico non è così determinante. C’è dunque molto di vero nelle tesi di Dario Fabbri del libro ‘Geopolitica umana’, che ci illustra quanto di pancia e di mente spinge popolazioni a conservare quell’amalgama della psiche in cui il binomio sangue e terra, il “Blut und Boden” di famigerata memoria, è un nodo molto duro da smantellare. Secondo Fabbri, partiti politici, capi popolo e leader ideologici non inventano nulla, ma intercettano vecchie istanze: “La loro esistenza quasi mai incide sulla traiettoria delle nazioni. Sono espressioni del milieu culturale, non ne sono artefici, cavalcano sentimenti popolari, non li inventano, seguono il percorso fissato dalla popolazione”. Mi viene quasi da dire: dal popolo mi guardi Iddio.