Prendo spunto dalla rottura di Fabio Pusterla con l'A*dS e dal Commento di Ivo Silvestro per qualche riflessione. Mi è difficile comprendere come una/o intellettuale possano concepire qualcosa di più triste del proclamare il silenzio l’unica opzione intelligente di fronte ad un genocidio. Il silenzio è oggettivamente connivente. Vediamo con i nostri occhi la storia. Assistiamo ad un massacro in diretta e alla sua giustificazione mainstream. L’intellettuale, se è tale, in questi casi può starsene zitto/a? Non ha forse il compito di partecipare eticamente al presente? O, insieme ad altri eletti, può porsi su un altro piano, dove si confrontano narrazioni sempre più originali e, soprattutto, fini a se stesse? A me pare che ciò equivalga alla totale abdicazione al proprio ruolo. E, di pari passo, ad una sudditanza verso le parole d’ordine di una determinata propaganda di potere. Il rischio è di farsi strumento della normalizzazione in atto, ad ogni livello della vita pubblica occidentale, nella fattispecie dell’accettazione della carneficina da mesi in atto a Gaza. Non stiamo assistendo ad uno spettacolo balistico simmetrico “razzi e bombe”! L’intellettuale dovrebbe porsi delle domande cruciali. Quanto sangue palestinese noi occidentali, corresponsabili dell’olocausto, intendiamo lasciar ancora scorrere prima di liberarci della nostra colpa? E visto che i Palestinesi non partecipano di nessunissima colpa nell’olocausto, come dobbiamo definire ciò che stiamo portando avanti? Mi chiedo se qualche autrice/autore, tra quante/i scrivono di antisemitismo, se lo sia mai chiesto e si sia preso la briga di tentare di rispondervi. Le risposte, in ogni caso, non potranno essere eluse e dovranno essere nette. La storia, per quanto tragicamente ciclica, non è ferma. E in Medio Oriente avanza di gran carriera verso soluzioni sempre più drammatiche.