Giovedì 23 marzo, mezzogiorno, accendo la ReteUno in tempo per sentire l’arringa di Paolo Pamini, candidato Udc che se la ride del cambiamento climatico. Inizia screditando Greta Thunberg, continua sostenendo che «alla prova dei fatti non c’è nessuna emergenza climatica». Poi sosterrà pure che +1°C e il raddoppio del CO2 siano insignificanti. Che ci adatteremo, la sua narrativa politica. Poi però, il granconsigliere uscente e professore insiste: «Se ad influenzare il cambiamento climatico siamo noi esseri umani è una questione scientificamente aperta» confrontando «climatologi» con autorevoli «fisici dell'atmosfera» che sostengono che «l'attività solare sia il grosso driver dell'evoluzione del clima». Sembra quasi che ci si possa schierare a favore o contro a seconda dell'autorevolezza della fonte. Non c’è più differenza tra evoluzione del clima (milioni di anni) e il cambiamento climatico (150 anni). Ma la comunità scientifica è davvero divisa su questo tema? No! È una cosa che siamo disposti a discutere? No. È possibile parlare in nome della scienza per sostenere che il clima sta cambiando per cause naturali? No, non dopo Rio, Kyoto e Parigi. Non su ReteUno a mezzogiorno. No perché esiste l'Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change). Pamini sostiene in nome della scienza, che non siamo responsabili, che non dobbiamo cambiare il nostro stile di vita. Sarebbe come accettare che «alcuni scienziati sostengono che la Terra sia piatta quindi il modo scientifico sia diviso tra favorevoli e contrari». Non è vero, la comunità scientifica è unanime: la terra è rotonda. Se poi l'Udc preferisce schierarsi tra i negazionisti del cambiamento climatico, lo faccia pure. Sarà più facile smascherarli, i ghiacciai non voterebbero certo per loro e gli agricoltori spero nemmeno.