Cara F.
Non l’ho mai conosciuta, ma si chiamava F., come l’iniziale del mio nome.
Lavorava per il servizio tiflologico della Unitas, Associazione ciechi e ipovedenti della Svizzera italiana, associazione per la quale lavoro da quindici anni a mia piena soddisfazione. Sono a capo di uno dei suoi servizi, la biblioteca, fortemente voluta dal suo fondatore, Tarcisio Bisi, che nel 1946 fondò Unitas e nel 1948 la biblioteca Braille e del libro parlato. Era uno dei suoi sogni perché voleva che tutti i ciechi del cantone potessero avere accesso alla cultura. E ce l’ha fatta perché oggi la biblioteca conta ottomila audiolibri in continuo aumento, un servizio di lettura di riviste, una rivista ufficiale che lui stesso creò e alla quale si dedicò con passione durante moltissimi anni, e non da ultimo, tre anni fa, ha ricevuto un riconoscimento molto importante, il ‘premio speciale di mediazione’ assegnato dall’Ufficio federale della Cultura a quattro biblioteche per ciechi svizzere, tra cui quella fondata da Tarcisio Bisi. La biblioteca era il suo ‘fiore all’occhiello’, il suo orgoglio; la Unitas, la sua vita. Anche se non l’ho mai conosciuto ho sempre pensato che fosse – a dispetto della sua condizione di cieco – una persona estremamente lungimirante.
Ma torniamo a ‘F’.
Typhlós è termine greco che significa ‘cieco’. Il servizio tiflologico è uno dei pilastri portanti dell’associazione. È il primo ponte tra le persone cieche/ipovedenti e l’associazione. F. lavorava per il servizio tiflologico, appunto. Per la precisione era un’operatrice tiflologica itinerante. È morta suicida prima che io iniziassi a lavorare per Unitas, per questo non l’ho conosciuta, ma le poche persone che osavano parlare di lei (il tema è sempre stato tabù, ho capito solo più tardi il perché), lo facevano con grande ammirazione.
Durante questi anni di lavoro, ho conosciuto bene tante persone, soci e volontari con cui ho stretto amicizia, membri di comitato, utenti della biblioteca. Ero (sono e mi sento tuttora) parte della grande famiglia di Unitas – ora non più ‘grande famiglia’ ma piuttosto ‘piccola-media impresa sociale’ – e mi ci sono affezionata fin da subito. Con i membri di Comitato, la direzione e la presidenza, c’è sempre stato un rapporto di stima e di rispetto reciproci. Abbiamo collaborato a tanti progetti e fatto tante belle cose insieme, per l’associazione. Ho cercato più di una volta di sapere di più su questa ‘F.’. La mia ‘superiora’ (così la chiamavo amichevolmente), ogni tanto me ne parlava ma non è mai entrata nei dettagli, che forse neanche lei conosceva; lasciava intendere che aveva a che fare con Unitas e con una persona in particolare al suo interno: quella di cui stiamo parlando da quasi un anno. Una persona che indubbiamente ha fatto e dato moltissimo a Unitas e alla quale vorrei tanto chiedere se, almeno per amore di quella che per molti anni ha erroneamente ritenuto la ‘sua’ associazione, non abbia mai pensato di prendere posizione, di scusarsi, di ammettere, di fare un outcoming, come si dice oggi, invece di trascinarci tutti con lui nella vergogna.
Torno a F.: oggi si parla quasi solo di molestie sessuali, all’interno di Unitas, ma ci si dimentica che quello di F., nel 2001, è stato uno dei primi, clamorosi, casi di mobbing denunciato nei confronti dall’alto dirigente di cui sopra. Dov’è finita la denuncia? Chi parla più di F. o chi ha mai parlato, di F.?
Il fatto è che F., prima di togliersi la vita, si è sfogata: ha scritto una lettera con le sue ultime volontà ("Carissimi, avete aperto questa busta, significa che sono morta", così esordisce e fa venire i brividi) e poi un testamento morale di cinque pagine battute a macchina, fitte fitte, dove racconta nel dettaglio e dal suo punto di vista, gli intrighi dell’associazione, cita molte persone. Tutte loro, non va negato e non va neanche dimenticato, hanno fatto grandi cose per Unitas, ma così facendo hanno ritenuto di poterla gestire come ‘cosa loro’, è stato questo l’errore, perché quando ritieni che una cosa (nel caso specifico un’associazione) sia ‘cosa tua’, fai di tutto per proteggerla, anche a costo di tacere.
Così scrive F. nei primi paragrafi: "(…) questa lettera non è un gesto di rivalsa, non servirebbe a niente e a nessuno, vuole semplicemente spiegare i perché. Vuole rivelare ad alta voce i nomi e gli atti infami, svelare (…) la disonestà, la cattiveria di chi mostra un volto "sincero" e "benevolo" per nascondere la propria anima devastatrice e demoniaca e che si è vendicato e sfogato non solo su di me attraverso un mobbing spietato, ma anche su altre persone comprese dei soci dell’Unitas".
Ebbene, cara F., non chiedermi perché la tua accusa non sia stata ascoltata vent’anni fa (divulgata è stata divulgata) e perché non sia stato fatto nulla, a volte le cose non funzionano come dovrebbero. Ho letto la tua lunga lettera, l’ho letta una, due, tre, quattro volte, tanto che senza averti conosciuta mi pare di conoscerti. Non preoccuparti se vent’anni fa si è messo tutto a tacere con la scusa che tu fossi una persona ‘debole di nervi’, si usava dire così allora, giustificava qualunque comportamento nei confronti delle donne.
Ma torniamo a noi: dalle ultime notizie apparse sui giornali apprendiamo che il Comitato vuole indire un’assemblea straordinaria, saranno dunque i soci a decidere chi vogliono e chi non vogliono alla guida dell’associazione. Io però ho qualche timore, anche perché ho assistito personalmente all’ultima assemblea in presenza, prima del Covid – che prevedeva una votazione per il rinnovo del Comitato – e me ne sono andata sconcertata quando ho visto e capito cos’era successo: tre membri di Comitato ‘scomodi’ sono stati palesemente estromessi. Al loro posto sono tornate vecchie guardie e un socio del tutto (o quasi) sconosciuto ai più. Come alcuni di loro siano stati eletti, benché perlopiù assenti nelle numerose occasioni associative, è difficile spiegarselo. O forse no.
Ecco cosa scrivi nelle ultime righe, cara F.: "Confido in tutti voi per ristabilire la giustizia e permettere alla Unitas di risorgere a nuova vita nell’interesse e nel bene dei propri associati. Lasciatemi morire con la certezza che tutto questo oggi, serva a qualcosa di positivo!".
Voglia il cielo che sia così, cara F., voglia il cielo che sia così!
*Le parti citate del testamento di F. sono state pubblicate con il consenso della famiglia.