Recentemente un servizio de "Le iene" ha denunciato i mali oscuri generati dal consumismo in costante aumento di vestiti low cost, amplificato dall’acquisto online: una situazione che meriterebbe una maggiore consapevolezza politica in generale, ma anche da parte di noi consumatori, che siamo indirettamente corresponsabili. Intanto le catene della moda a basso costo, che di certe consapevolezze non si preoccupano granché, generano fatturati con cifre a dieci zeri.
Le realtà scoperchiate dal servizio televisivo citato sono effettivamente poco conosciute: si parla ad esempio di bambini indiani sacrificati a un lavoro massacrante, che devono svolgere per pochissimi soldi in locali-topaie respirando aria spesso impregnata di acidi e coloranti velenosi.
Un quarto degli indumenti in vendita nel mondo occidentale a costi irrisori, viene infatti prodotto in India, poiché è la che si trova la materia prima, ossia il cotone. In questi ultimi anni ai contadini viene oltretutto imposto dalle multinazionali americane, con accordi tra i rispettivi governi, un nuovo prodotto: il "BT -Cotton. Si tratta di un prodotto ibrido che necessita di sementi speciali e di frequenti trattamenti con pesticidi e fertilizzanti, molto più di quanto ne servissero prima con le coltivazioni di cotone indigeno. (Tra l’altro, i veleni di questi pesticidi finiscono direttamente nelle falde acquifere causando malattie cancerogene, malformazioni e ritardi mentali).
Questa situazione, in coincidenza con i raccolti finiti male per cause climatiche, ha generato disperazione tra i contadini immersi in accumuli di perdite e strozzati dal pericolo della confisca dei terreni da parte delle banche.
Si calcola che in questi ultimi anni 250’000 coltivatori indiani si siano tolti la vita a causa della crescita insostenibile dei debiti.
Se questo è il prezzo del nostro nuovo consumismo, pensiamoci seriamente prima di acquistare un nuovo vestito che può avere dietro di sé un tragitto di una tragicità incalcolabile.