I miei primi ricordi con la televisione dei ragazzi della Rai negli anni cinquanta sono la serie «Rin Tin Tin»: le avventure di un ragazzo e il suo cane in un fortino dei soldati nel Far West. E ancora oggi apprezzo le serie che ci vengono offerte sempre più numerose (anche se non arrivo quasi mai alla seconda stagione e superare le prime puntate è un test difficile).
Con l’arrivo dei servizi streaming (Netflix, Apple ecc.), l’offerta è aumentata. Ma anche l’inondazione di modelli sociali e di comportamento ispirati alla classe media Usa. Perfino la mimica che appare nei protagonisti di queste storie la vediamo sempre più spesso tra di noi.
La proposta in votazione il prossimo 15 maggio prevede che i servizi streaming e i programmi televisivi esteri con «finestre» svizzere siano obbligati a riservare il 4% della loro cifra d’affari alla produzione in Svizzera di film, serie ecc., come vale già per i produttori con la sede in Svizzera. Dovranno inoltre riservare il 30% del loro catalogo a film e serie prodotti in Europa. Regole queste diffuse in molti Paesi europei che incontrano la comprensione dei produttori stessi: Netflix per esempio ha fatto conoscere al mondo le serie coreane e diffonde perfino un’animazione di Zerocalcare!
Ma chi si oppone a questa modifica di legge, che vuole trattare allo stesso modo i produttori svizzeri e i fornitori stranieri di servizi streaming? Sono i partiti giovanili liberali, verdi-liberali e Udc. Dicono di temere un aumento dei prezzi di abbonamento e un’invasione di prodotti europei di bassa qualità. In realtà vogliono solo essere sicuri di non perdersi ogni nuova serie Usa.
Per aiutare la cultura europea e svizzera, votiamo un Sì deciso alla Legge sul cinema!