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Preservare la dignità delle Istituzioni

Alle Istituzioni dello Stato, a quelle politiche e a quelle giudiziarie, va attribuita quella dignità che la loro stessa natura richiede. Il non rispettare questa dignità con atti o parole, dovrebbe essere sanzionato; cosa che nella pratica non sempre accade. La lesione di questa dignità avviene in tanti modi, molti dei quali non equiparabili. La reazione dell’opinione pubblica si manifesta solo quando la lesione diventa tanto evidente da non poter essere taciuta.

È avvenuto a Coira la sera dell’8 novembre e riguarda il processo a un ex giudice del Tribunale amministrativo del Cantone dei Grigioni, presunto autore di violenza sessuale nei confronti di una praticante giurista. Più di 200 persone hanno infatti, davanti all’edificio del Gran Consiglio – dove si era svolto il processo una settimana prima –, protestato vivacemente oltre che per il fatto come tale, anche per la brutalità dell’interrogatorio di un giudice nei confronti della presunta vittima, una giovane donna. Irripetibile (per decenza) la domanda rivoltale da un membro del collegio giudicante in sede di processo. Possibile sia oggi permessa, in sede istituzionale, qualsiasi volgarità?

Questa vicenda giudiziaria, comunque si risolva, è tutta all’insegna dell’infrazione della dignità dell’Istituzione. Già il fatto che un giudice di Tribunale si permetta nella sede stessa del Tribunale approcci sessuali gravi, riusciti o meno, con una praticante giurista che aveva la metà dei suoi anni, la dice lunga sul rispetto (infranto) che si deve portare all’Istituzione. Per non parlare di quello che si deve portare a una subalterna per lo stesso rapporto di potere e di non potere che caratterizza simili posizioni. Subalterna che aveva subito denunciato il giudice definendo l’accaduto stupro, cosa che l’indagato nega. Il Tribunale regionale della Plessur ha quindi dovuto chinarsi sulla questione e ha emesso la sua sentenza il 12 novembre scorso. La Procura pubblica del Cantone dei Grigioni aveva chiesto una condanna di 30 mesi, dei quali 6 da espiare in prigione e l’interdizione a vita dalla professione per l’ex giudice, presunto autore dello stupro. Ebbene la sentenza è stata di condanna – per violenza carnale, molestie sessuali e minacce nei confronti della ex praticante – non comunque nella misura voluta dalla Procura pubblica. I mesi di condanna sono stati portati a 23 (con 24 ci sarebbe stata prigione) ciò che ha suscitato la riprovazione di parecchie cerchie che sperano perlomeno nell’interdizione dalla professione per l’ex giudice. Infatti come giustificare una sua presenza ancora in un’aula di Tribunale?

Una squallida storia nell’ambito della quale a essere violata non è solo la dignità dell’Istituzione Tribunale, ma in modo preponderante quella della presunta vittima. Indignarci è il minimo che possiamo fare. Giustamente dalla piazza di Coira si è levato il grido: “Un NO è un NO, un SÌ è un SÌ” mentre le lettere cubitali sopra la testa dei manifestanti dicevano “NON ABBIAMO PAROLE”. Un’indignazione che dovrebbe esserci ogni qualvolta si esercita, con atti e parole (insulti, oscenità) violenza sulle persone, tanto più grave se avviene nei luoghi della giustizia e dello Stato in generale, preposti al bene e alla protezione della cittadinanza.