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Governare stanca

(Ti-Press)

Qual è lo stato d’animo della compagine governativa? A detta del presidente del Plrt Alessandro Speziali il “governo è stanco”, spossato, privo di energia e povero di iniziative. Ed è pure un filino arrabbiato con il parlamento, giudicato riottoso, che dal canto suo, balcanizzato com’è, non brilla con proposte innovative. Anche per il presidente dalla Camera di Commercio Andrea Gehri si assiste “a un degrado progressivo della qualità del dialogo che, inevitabilmente, provoca confusione e genera insicurezza diffusa nella popolazione”. Sul lato opposto protestano vivacemente i sindacati, agli occhi dei quali il Ticino è diventato un Far West, una terra di mezzo desolata, funestata da sforbiciate ai sussidi e da salari che restano al palo, dominata da una “visione miope e pericolosa della gestione delle finanze cantonali”.

Dal rinnovo dei poteri cantonali (esecutivo e legislativo) sono trascorsi poco più di sedici mesi, ma già tira una brutta aria. Musi lunghi, smorfie d’insoddisfazione. C’è da chiedersi come mai, visto che le elezioni del 2023 hanno consegnato al Paese un Consiglio di Stato immutato nella sua composizione partitica. Di conseguenza la causa del malessere non può risiedere nella (scarsa) qualità dei titolari dei cinque dipartimenti. Sarebbe troppo facile, troppo comodo urlare “piove governo ladro”. Ci dev’essere dell’altro, un insieme di fattori più profondi, e quindi più difficilmente risolvibili. Vediamone alcuni.

I premi delle casse malati. Si intravedono all’orizzonte soluzioni praticabili, in grado di scongiurare un altro doloroso aumento nel 2026? No. Le proposte di riforma sono numerose, ma tutte fanno naufragio di fronte alla falesia degli interessi in gioco, cosicché il volume della spesa sanitaria non fa che crescere ogni anno, accelerando il processo erosivo dei bilanci delle classi medie escluse dai provvedimenti di protezione sociale. A ciò contribuisce notevolmente il calo delle nascite, con il conseguente squilibrio intergenerazionale (rapporto giovani/anziani).

Il traffico. Siamo in un territorio in cui si scava e trivella alacremente. Cantieri ovunque, canalizzazioni e pavimentazioni, svincoli e semafori. Colate di calcestruzzo. Eppure gli ingorghi nelle città e lungo la frontiera non diminuiscono; le colonne al Gottardo sono ormai quotidiane, un calvario snervante e mefitico. Si sa, viviamo in un imbuto, con poche vie di fuga. I veicoli in marcia saturano subito ogni nuova corsia autostradale. Allarghiamo e asfaltiamo, ma tutto resta come prima, anzi peggio.

I frontalieri. Ottantamila sono troppi, denunciano in molti (specie gli esponenti della destra, che però si guardano bene dal puntare il dito contro chi li ingaggia). Ma senza di loro il Ticino collasserebbe: edilizia, ospedali e cliniche, alberghi e ristoranti, servizi alle persone. Settori poco frequentati dai giovani ticinesi, i quali preferiscono l’impiego statale e parastatale, in linea con una tradizione consolidata.

La nuova povertà. Nel 1987 il rapporto Marazzi certificava l’esistenza di una sacca di “nuovi poveri” che si aggirava intorno al 15% della popolazione, a fronte di una media nazionale del 10%. Da allora sono trascorsi 37 anni, la percentuale degli indigenti è calata ma, come hanno evidenziato Francesco Giudici e Alessandra Zanzi nell’ultimo Rapporto sociale disponibile, questo è avvenuto soltanto grazie agli aiuti sociali. Osservano i due sociologi: “Le prestazioni sociali contribuiscono a ridurre in maniera importante la percentuale delle persone in povertà: nel 2018, in assenza delle prestazioni sociali come fonti di reddito, la povertà reddituale assoluta sarebbe stata del 14,6%, vale a dire quasi il doppio del valore riscontrato (7,4%)”. Insomma, nulla è cambiato in questo lasso di tempo.

Così inquadrata, la “stanchezza” governativa appare in un’altra luce, più comprensibile e giustificabile. Siamo infatti di fronte a questioni radicate, di lunga durata, frutto di ritardi storici che il cantone non è mai riuscito a colmare nonostante sforzi e investimenti. Gli storici dell’economia parlano in proposito di costanti. I salari inferiori alla media nazionale appartengono a questa fenomenologia, così come la migrazione dei giovani cervelli verso i centri economici e tecnologici d’Oltralpe. Il cittadino deluso e scornato chiede alla politica soluzioni rapide e concrete, com’è suo legittimo auspicio. La classe politica vorrebbe intervenire e rimediare, ma allarga le braccia in segno di impotenza. Capisce che gli strumenti di cui dispone non sono più sufficienti. Si rende conto che i problemi che più angustiano la popolazione non hanno soluzione perché generati da dinamiche croniche esterne (il traffico) o perché gravati da troppe variabili (la cassa malattia). Di qui la stanchezza (o frustrazione?) che paralizza i nostri rappresentanti, e non solo loro.

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