laR+ I dibattiti

Evitiamo una battaglia ideologica sulla scuola inclusiva

(Ti-Press)

Questo il sereno appello che mi sento di lanciare a tutti quei partiti e quei commentatori politici che decidono di affrontare il tema dell’inclusione in ambito scolastico di allievi con disabilità. Interrogarsi e rimettere in questione il sistema è legittimo, ma per evitare di limitarsi a discorsi ideologici generici o – peggio – di instillare il dubbio di perseguire mere strategie elettorali, occorre rimanere ben ancorati ai fatti e alla realtà locale.

Facciamo quindi un po’ di chiarezza. Per quanto riguarda le misure di pedagogia speciale, oggi numerosi cantoni hanno fatto scelte inclusive ben più radicali del Ticino. Ad esempio, il Grigioni. Il Ticino è considerato da molti come un modello in quanto offre supporti molto differenziati tra di loro: nelle classi regolari, nelle classi inclusive, nelle classi ad effettivo ridotto, negli istituti privati. Non certo un’inclusione a tutti i costi. In Ticino esistono le classi a effettivo ridotto che sono un’offerta importante del nostro sistema scolastico. Ne è la conferma la recente apertura di un nuovo centro specializzato gestito da Otaf a Bellinzona che offre scolarizzazione ad alunni con importanti bisogni educativi particolari.

E allora cosa intende il Plr quando chiede di “tornare alle classi di sostegno in sostituzione della scuola inclusiva”, visto che in realtà in Ticino non sono mai state eliminate? A cosa si riferisce precisamente il consigliere nazionale Alex Farinelli quando su diversi media afferma che “in discussione non c’è l’inclusione in quanto tale, ma la scuola inclusiva a tutti i costi, quella che fa dell’inclusione un dogma” e che ci sono dei “casi limite”?

Cosa intende il presidente cantonale del Plr Alessandro Speziali quando alla trasmissione Modem della Rsi del 21 ottobre afferma che la scuola si deve occupare anche degli allievi “normali”? Chi sono gli allievi normali? E quelli anormali? E soprattutto chi lo decide? I genitori? Il docente? Un medico? Il Decs? E poi? Li separiamo in classi specifiche in base alle varie categorie? Dai più normali ai meno normali? Sinceramente vorrei capire meglio. Migliaia di persone e di genitori con bambini con disabilità o con qualche piccola o grande problematica legata allo sviluppo (dislessia, discalculia, Adhd, Dsa…) vorrebbero capire meglio il senso di questo attacco politico in grande stile alla scuola inclusiva.

Esprimo un pensiero di solidarietà a tutti quei genitori di bambini con bisogni speciali di educazione (alcuni intervistati dalla Regione del 18 ottobre) che ogni giorno devono affrontare tanti ostacoli, pregiudizi e, come Benigni e Troisi, sono costretti ad imbattersi di continuo in qualcuno che urla “Chi siete? cosa portate? Ma quanti siete? Un fiorino!”. No, non siete famiglie di Serie B! Chissà allora se gli slogan coniati in qualche congresso partitico nazionale – location probabile “Frisole, estate 1400, quasi 1500” – potranno essere finalmente messi da parte. Chissà se si vorrà perlomeno ascoltare e provare a capire che promuovere una scuola inclusiva non significa affatto pensare che tutti i bambini siano uguali. Al contrario: avere un approccio inclusivo significa innanzitutto riconoscere le diversità. La diversità come un valore e un bene per il futuro di tutti gli individui di una società, con o senza disabilità.