Il collega Pier Zanchi difende i prodotti locali esprimendo dei concetti interessanti con qualche imprecisione. Se da un lato è vero che i grandi predatori (a differenza dei cinghiali) non sono stati introdotti ma sono arrivati qui da soli, dall’altro non sono tornati nei territori dove erano stati sterminati a causa del cambiamento di vita nelle valli, ma a causa della convenzione di Berna sulla protezione delle specie del 1979. In realtà, i cambiamenti di vita nelle nostre valli sono cominciati molto prima del ritorno dei grandi predatori e l’abbandono delle attività agricole in montagna è dovuto soprattutto allo spreco di territorio sul fondovalle, a speculazioni edilizie, a Piani regolatori che non hanno mai protetto l’agricoltura, tutte prede di facili speculazioni e conflitti d’interesse da parte di politici e di aziende che di queste attività ci lucrano. Un’altra imprecisione è credere che i grandi predatori esercitino una pressione diretta sugli ungulati selvatici attraverso la predazione, mentre in realtà il loro contributo al controllo delle popolazioni è marginale o quasi trascurabile. In natura, i grandi predatori influenzano le prede in modo che non si sentano troppo a loro agio accanto all’acqua e al cibo e non sostino troppo a lungo nei vivai e nelle colture o in luoghi esposti a cielo aperto. Avendo maturato delle esperienze sia nell’allevamento che nella gestione della biodiversità, rimango esterrefatto dall’attuale scontro sui grandi predatori, viziato, secondo me, da pregiudizi, da luoghi comuni e dall’inabilità di dialogare tra le parti. Se da un lato non ci sono soluzioni miracolo, dall’altro la politica dovrebbe mettere a disposizione volontari, civilisti, ambientalisti e animalisti, per fare presenza accanto alle greggi ed evitare che siano lasciate da sole al crepuscolo, quando i predatori hanno maggiore possibilità di riuscire nei loro intenti, perché, a differenza delle favole, il lupo diffida degli umani e li teme. Per proteggere le greggi più che le mattanze sono utili l’uso mirato di proiettili di gomma e i proiettili a salve, perché un predatore morto non trasmette più alcuna informazione utile al branco. Trovo sbagliato e diseducativo il messaggio che le analisi genetiche delle predazioni siano “milioni di franchi” buttati via. Preciso, a scanso di equivoci, che di analisi delle predazioni né io né l’azienda che dirigo ne abbiamo mai fatta una e non ne faremo mai in futuro, non perché siano inutili, ma perché non è la nostra attività. In realtà le analisi genetiche sono utili, anzi sono fondamentali per capire se i colpevoli siano ancora presenti o siano fuggiti ed evitare che le castronerie e i concetti di protezione e di regolazione delle specie, concepiti in modo confuso attorno allo “Stammtisch” a fine serata, siano la forza trainante di una realtà che non scomparirà di certo grazie a chi urla più forte.