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I liberali e la scuola

Cinquant’anni or sono il parlamento cantonale approvava l’istituzione della scuola media unica, una delle riforme più coraggiose e incisive della storia della scuola ticinese. Ne fu l’artefice principale Franco Lepori. Chi volesse conoscere il rigore intellettuale e l’impegno civile che Lepori vi profuse legga e studi i suoi scritti riuniti nel libro “Per una maggiore giustizia culturale”, pubblicato qualche anno fa dalla Società Demopedeutica.

A cinquant’anni dal varo della riforma, c’è bisogno di ripensarne il disegno complessivo; non per tradirne lo spirito originario, ma semmai per rinnovarlo nelle mutate condizioni della società; appunto per garantire ancora “una maggiore giustizia culturale”. Il primo a sostenere quest’idea, se fosse ancora tra di noi, sarebbe proprio Franco Lepori.

Dal 1974 ad oggi vi sono state due proposte importanti di riforma della scuola media, sviluppate nel solco del progetto originario. Nel 2016 “La scuola che verrà”, che restò purtroppo lettera morta dopo che il popolo ticinese improvvidamente bocciò il credito per la sua sperimentazione. Più recentemente, l’iniziativa popolare “Basta livelli”.

È dunque tempo di riforme della scuola. È questa pure la convinzione del Plr, del partito svizzero e di quello cantonale. Con una recente iniziativa parlamentare generica presentata dal Gruppo in Gran Consiglio i liberali ticinesi chiedono “l’avvio di una riforma completa, organica e coerente della scuola media”; dal canto suo il partito svizzero ha individuato “17 campi d’azione per un’educazione scolastica equilibrata e orientata al futuro”. Possiamo dunque rallegrarci che nell’agone politico svizzero e ticinese si levino voci autorevoli a favore di riforme scolastiche capaci di proporre una visione generale e articolata della scuola dell’obbligo.

C’è da augurarsi che se ne possa discutere al di fuori delle logiche di schieramento, fornendo gli argomenti prima delle sentenze. A guadagnarci saranno lo stile e il contenuto del dibattito pubblico, ma soprattutto la scuola pubblica ticinese.

Prima di poterci esprimere sul contenuto delle proposte liberali di riforma della scuola media, bisognerà però attendere che i liberali chiariscano le loro idee. La documentazione disponibile è infatti scarsa e incompleta. L’unico obiettivo chiaro è quello di togliere complessivamente 12 ore del piano settimanale degli insegnamenti obbligatori (3 ore per ciascuna delle 4 classi). Altri hanno già rilevato che manca qualsiasi indicazione sulle materie sacrificate. La riduzione toccherà in eguale misura tutte le materie oppure sarà ripartita proporzionalmente secondo la loro dotazione oraria? Ci saranno delle materie intoccabili? Il tedesco sarà una di queste, dal momento che proprio i liberali hanno rivendicato che il suo insegnamento sia anticipato in prima media? Non meno scarsa e incompleta è l’informazione su ciò che sostituirà le ore soppresse dell’insegnamento obbligatorio: saranno attività opzionali o facoltative? Chi ne sarà responsabile: la scuola o qualche associazione della società civile? Occorrerà conseguire un’abilitazione all’insegnamento per queste attività, supposto che a svolgerle non sia l’insegnante di scuola media? Un capitolo a parte riguarda i maggiori costi, sui quali i liberali in questo caso, a differenza del solito, non danno alcuna indicazione. Insomma di primo acchito l’impressione è che a questa iniziativa manchi quel rigore intellettuale che invece si trova nelle proposte di riforma della scuola media di cui ho fatto menzione in precedenza.

Dico questo anche per esprimere un’ultima considerazione sull’idea che i liberali hanno oggi della scuola; una considerazione di metodo, così mi pare di poterla qualificare.

In un paragrafo del documento del Plr svizzero sulla politica scolastica si legge pure quanto segue: “Gli insegnanti – non i funzionari pubblici o i consulenti – sanno meglio di chiunque altro di cosa hanno bisogno gli alunni per raggiungere i loro obiettivi”. È un approccio alla riforma della scuola che non promette nulla di buono. Se si escludono da questo processo coloro che si occupano di indagare i sistemi scolastici, di vagliarne criticamente i risultati, di soppesarne le virtù e i difetti, ci si priva di una risorsa intellettuale fondamentale per ripensare criticamente la scuola. “Conoscere per deliberare”, sosteneva a giusta ragione Luigi Einaudi. Ciò non significa che gli insegnanti non abbiamo nulla da dire e debbano essere esclusi dalle decisioni che interessano la scuola. Sull’implementazione di un progetto di riforma essi dispongono verosimilmente di elementi di giudizio che mancano agli altri attori. Altra cosa invece è ritenere che debba contare soltanto il loro parere. La scuola pubblica ticinese non sarebbe mai nata se Stefano Franscini non avesse confidato nei risultati delle indagini sul sistema scolastico di allora.