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Un ceffone al povero malato

(Ti-Press)

Il Consiglio federale ha appena varato una serie di misure di risparmio, che vanno a toccare un po’ tutti i settori della spesa pubblica, esercito escluso. Le ricette sono molte, alcune anche incisive. Ma così vuole il popolo, e il mantra del momento è “tagliare”; siamo un po’ tutti preoccupati del futuro e rinunciamo così a godere (vedere) il presente. In termine tecnico si chiama “iperopia”, la “sindrome del risparmio”. Anche se altre linee di pensiero (i keynesiani) insegnano che proprio in tempi di magra bisogna avere il coraggio di investire nel futuro e non solo di tagliare la spesa pubblica.

Le misure dietetiche proposte per curare il nostro sistema sanitario, quello che con i costi lievitanti della cassa malati ci fa venire il mal di pancia, sono senz’altro opportune. Tra queste ritroviamo per esempio una maggior regolamentazione dei farmaci con incentivi a utilizzare i generici e soprattutto nuovi meccanismi di controllo sui volumi e sui costi delle (sovra)prestazioni sanitarie, in continua crescita, da un lato per i progressi della medicina e l’invecchiamento della popolazione, ma dall’altro per quel meccanismo perverso per cui l’offerta (dei fornitori di prestazioni) determina la domanda (del paziente-cliente).

Tra le ricette del Consiglio federale una in particolare mi risulta assai indigesta: quella di voler aumentare la franchigia minima della cassa malati da 300 a 400 franchi. Questa strategia, che toccherà quasi la metà degli assicurati, è pensata per responsabilizzare maggiormente i cittadini e per cercare di contenere il ricorso eccessivo alle prestazioni sanitarie. In realtà non basteranno certo questi cento franchi in più a frenare il paziente-consumatore, il quale si sentirà ancora più giustificato nel pretendere qualsiasi prestazione, secondo il pensiero comune “adesso che ho già aperto il foglio della cassa malati, voglio anche…”. L’effetto della franchigia su questa tipologia di clienti? Nullo.

Un gesto educativo decisamente più incisivo sarebbe invece quello di far capire alla popolazione le insidie del “consumismo sanitario”, con il rischio non trascurabile di trasformare persone sane in malate; il pericolo di incappare nei cosiddetti “incidentalomi” con esami a tappeto non indicati, interventi chirurgici non strettamente necessari, effetti collaterali di cure evitabili e inutili angosce. Molto di più andrebbe investito nella prevenzione, nello stile di vita e nelle conoscenze di base nel campo della salute. E proprio qui spazio di miglioramento e di risparmio ce ne sarebbe: basti solo pensare che quasi la metà della popolazione svizzera presenta difficoltà a comprendere e utilizzare informazioni relative alla salute (“health literacy”).

L’aumento della franchigia minima andrà invece a colpire le persone più vulnerabili e svantaggiate, quelle per cui anche 100 franchi in più possono fare la differenza. Non dimentichiamo che, in un Paese ricco come il nostro, quasi un cittadino su dieci vive sotto la soglia della povertà. E povertà e malattia vanno a braccetto. Le persone a basso reddito tendono a vivere in un ambiente meno salubre, ad alimentarsi meno bene, a essere esposti a maggiori rischi professionali, a subire più stress psico-sociale, a soffrire più frequentemente di malattie somatiche e psichiche croniche. Si stima addirittura una perdita di aspettativa di vita di 4-7 anni rispetto alle persone con redditi più elevati. Insomma, si può morire di povertà, e non solo per la fame.

L’aumento della franchigia è quindi una misura antisociale, un ceffone per il povero malato, in particolare per il malato di povertà. Inchieste recenti ci dicono che in Svizzera già oggi una o due persone su dieci evitano di recarsi dal medico e di farsi curare per ragioni economiche. Almeno altrettante rinunciano alle cure dentarie. Come ‘Swiss health network for equity’ ci impegniamo a difendere un sistema sanitario equo e accessibile per tutti, indipendentemente da posizione sociale ed economica, provenienza, età, genere, grado di istruzione eccetera. Chiediamo quindi al governo di riconsiderare questa decisione e di lavorare su soluzioni che non penalizzino ulteriormente chi già oggi è in difficoltà. Come medici la difesa dei nostri pazienti più vulnerabili è un imperativo etico per il quale schierarsi.

Anziché un buffetto al paziente-consumatore e un ceffone al (povero) malato, forse più meritata sarebbe una scoppola al politico affetto da iperopia. Perché la miopia di questa misura di risparmio potrebbe avere un effetto boomerang e costare ancor più cara, con tumori scoperti tardivamente, complicazioni di malattie croniche trascurate e infine più malati e invalidi a carico della società.

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