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Sì ai messaggi di Draghi

Il recente rapporto sullo stato dell’economia dell’Unione europea (Ue), allestito da Mario Draghi su incarico della Commissione di quest’ultima, non è gradito da diversi opinionisti. Più precisamente tutti, si può dire, condividono l’opinione ivi espressa secondo cui, oggi, l’Ue è confrontata con “una sfida esistenziale”, tale che se non si placasse l’Unione sarebbe condannata a “una inesorabile lenta agonia”. Davanti ai presidenti dei gruppi politici del Parlamento europeo, Draghi ha persino confidato “di avere incubi” quando pensa a quanto sta capitando senza che si faccia nulla per impedirlo o, almeno, attenuarlo. Poi, per colorare meglio il suo stato d’animo, ha sottolineato che, tra l’altro, negli Stati Uniti il reddito reale per abitante dal 2000 a oggi è aumentato due volte rispetto a quello in Europa. A ciò si aggiunga la perdita continua di prestigio e autorità nel mondo economico, politico e culturale.

Però Draghi, dopo aver spiegato le ragioni di questa generale “decadenza”, espone i rimedi necessari e urgenti per risalire la china: in particolare enormi investimenti in tutti i campi, soprattutto nella ricerca, ciò che presuppone prestiti comuni colossali e interventi affinché tutto il risparmio europeo sia investito in Europa e non più all’estero, in modo da sviluppare e rafforzare il mercato interno, compreso quello dei capitali. Tutto questo, ovviamente, impone maggiori interventi, quindi maggior centralità e, ragionevolmente, più burocrazia, in definitiva più Europa.

È qui che Draghi non è gradito da certi opinionisti, ma neanche dalla Germania e dagli Stati frugali, perché a loro detta ciò significherebbe ancora più direttive politiche, economiche, finanziarie e culturali, quindi eccessiva burocrazia e una pletora di leggi e ordinanze, ossia l’economia pianificata che notoriamente frena la competitività, quindi il progresso in tutti i campi. Essi però dimenticano che l’Ue (rispetto agli Stati Uniti, che assumono quale confronto del progresso) è giovanissima, per cui ha dovuto e deve creare tutto (compreso il suo “corpus iuris”, la formazione degli usi e i costumi) e deve contare su 27 sovranità nazionali che appesantiscono l’attività, da qui il numero elevato, invero talvolta eccessivo specie nell’agricoltura, di detti interventi. Non solo, ma soprattutto dimenticano che l’Ue non è una Confederazione, né una Federazione, ma soltanto una Organizzazione internazionale tendente a evolvere verso la Confederazione e ciò genera, fatalmente, una ragionevole perdita della sovranità dei 27 Stati che la compongono suscitando incomprensioni, vere o simulate e, non di rado, vivaci proteste spesso infondate che, evidentemente, non giovano a una serena evoluzione.

Qui è bene ricordare come gli Stati Uniti dalla loro Indipendenza (1776) quale Stato embrionale, praticamente personificato nel presidente (non aveva ministri, soltanto consiglieri per diversi anni) sono diventati quello che ora sono politicamente, economicamente e culturalmente: primi o tra i primi in tutto. Nel 1790 Alexander Hamilton, primo segretario del Tesoro (considerato fondatore degli Stati Uniti), dopo una rude contesa tra il suo partito “filofederalista” (poi diventato democratico) contro il partito “antifederalista” (poi diventato repubblicano) capeggiato da Jefferson, ha fatto assumere allo Stato federale, dopo averlo dotato di una banca centrale diventata Federal Reserve nel 1913, il debito pubblico di tutti gli Stati confederati, risolvendo così le loro gravi difficoltà economiche e finanziarie causate dalla Guerra di indipendenza (la pandemia di allora), ciò che ha suscitato lo sviluppo del commercio tra loro (che continua) e con esso il risanamento delle loro finanze nonché, di riflesso, il consolidamento di quelle federali. Chissà se Draghi, quando ha forgiato la sua oramai famosa frase “costi quel che costi” che ha salvato l’economia europea messa in pericolo dal collasso finanziario post 2008, non abbia pensato a quella lieta vicenda? In ogni modo sono scaturiti 750 miliardi di euro, ai quali si aggiungono 1’074 miliardi di budget comunitario relativo al periodo 2021/2027 per rilanciare l’economia europea. E chi ne ha beneficiato e ne beneficia? Tutti, persino l’Ungheria, nonostante l’atteggiamento sconsiderato del suo primo ministro Viktor Orban, che meriterebbe di essere sospeso, lui e il suo Stato a mente dell’art.7 cpv. 3 del Trattato.

Un messaggio ha però Draghi dimenticato: più “patriottismo europeo”. Ma questo, visto che buona parte degli opinionisti sono sordi, è compito delle élite. Quelle purtroppo, spesso, tradendo la loro missione, privilegiano il golf. Rimane la storia e quella non mente, insegnando che è dalle più grandi crisi che scaturiscono le grandi riforme politiche, economiche e culturali. Vi è quindi da sperare che la guerra scatenata dalla Russia all’Ucraina comporti almeno più Europa, mettendo al riparo l’Occidente, specie se Trump venisse rieletto.