In inglese “The divine right to govern wrong”, ossia il potere assoluto, in bene e in male, nel tempo e nello spazio, in qualsiasi regime, in ogni ambito e sotto ogni forma, sulla natura, sulle cose, sugli animali e sugli uomini, l’immunità, insomma: che fascino, ma è mai possibile? Eppure, è quello che negli Stati Uniti può capitare, come è capitato o quasi, con il presidente Warren Harding 1921/23, bell’uomo elegante e donnaiolo: sulla sua scrivania spiccavano bottiglie di whisky – in barba al proibizionismo imperante – e le carte per giocare a poker con gli amici. Soleva pure dire: “Per fortuna non sono una donna, altrimenti sarei sempre incinta poiché non so dire no”, ma ha fatto molto meno male di quanto ne ha fatto, ne fa e ne farebbe Trump se venisse rieletto.
Comunque, anche negli Usa, l’essenza della democrazia e dell’equo convivere sociale, permane il binomio inscindibile “potere e responsabilità”, rispettivamente “responsabilità e potere”. Infatti, è mai possibile la responsabilità se non si ha il potere di eseguire, in bene o in male, il fatto al quale si riferisce? Sarebbe assurdo e nessuno assumerebbe il potere. Rispettivamente, come è concepibile il potere di compiere o non compiere, in bene o in male, il fatto al quale si riferisce, se non si è responsabili delle conseguenze? Sarebbe altrettanto assurdo, perché chiunque potrebbe impunemente commettere, dentro e fuori le proprie funzioni, qualsiasi reato compresa l’eliminazione degli oppositori, come fa Putin. Non per nulla i due simpatizzano. Quindi, più potere si ha, più responsabili si è. Appunto per questo i padri fondatori degli Usa hanno voluto una Costituzione rigida, onde mettere al riparo il Paese dagli abusi da parte dei poteri. Né vale l’obiezione secondo cui il timore di dover rispondere delle possibili conseguenze negative dei propri atti, distoglierebbe il presidente dal normale sereno svolgimento dei propri compiti specie se gravi. Questo perché si confonderebbe la responsabilità penale con quella civile. Infatti, l’obiezione vale solo per quest’ultima e solo se applicata a negligenze lievi. Ben altro è la responsabilità penale, per la quale il presidente deve rispondere, dentro e fuori le sue funzioni, come ogni altro cittadino. In Francia, per evitare ogni obiezione per i reati commessi da un presidente in carica, viene sospeso il termine di prescrizione fino alla fine del mandato. A quel momento, inizia il processo che può portare alla condanna, come è capitato non tanto tempo fa al presidente Chirac (due anni di carcere) e al presidente Sarkozy (un anno di reclusione di cui sei mesi da scontare). D’altronde la grazia concessa dal presidente Gérard Ford all’ex presidente Richard Nixon per lo scandalo del Watergate, conferma che neppure negli Usa vige l’immunità penale del presidente. Infatti, la grazia è concepibile solo se vi è responsabilità per il reato commesso e, negli Usa, vige la “Common Law”, ossia il diritto consuetudinario per cui la vicenda Nixon è diventata legge. Orbene, Trump è imputato davanti a diversi Tribunali in diversi Stati per rispondere di innumerevoli reati gravissimi: dagli abusi sessuali alle colossali manovre contabili e fiscali e, soprattutto, dell’insurrezione del 6 gennaio 2021, per cui, in uno Stato di diritto, è impensabile che non debba risponderne. Infine, concedere l’immunità a Trump è anche violare il saggio precetto stabilito per tutte le autorità nella culla della democrazia, Atene sotto Pericle (495-429): “Patere legem quam ipse fecisti” (rispetta la legge che tu stesso hai fatto).
Nonostante tutto ciò, contro la recente condanna inflittagli dal Tribunale di New York ha subito (ancora in aula e dopo aver ingiuriato il presidente, i procuratori e i giurati) annunciato l’Appello. Non solo, ma Trump con i suoi avvocati, che già gli sono costati più di 80 milioni, continua a pretendere dalla Corte suprema, più precisamente dai sei giudici repubblicani a lui sottomessi che ne formano la maggioranza, l’immunità. L’otterrà? Poco importa, perché secondo la Costituzione anche una persona che sta scontando in prigione una pena degradante può essere candidata, per cui in ogni modo Trump ci sarà ed è sicuro che tutto il “popolo repubblicano”, non solo la parte che da lui aizzata il 6 gennaio 2021 ha dato l’assalto al Congresso, lo nominerà. Purtroppo, può farcela (i miliardari “patrioti”, preoccupati per la prossima scadenza della legge tributaria che li favorisce, il giorno stesso della condanna gli hanno erogato ulteriori 34,8 milioni di dollari per la campagna elettorale) e, se ce la facesse, la prima sua decisione sarebbe quella di accordarsi la grazia per le sue malefatte e mettere tutti a tacere (anche se questo è ammettere la colpa, ma per lui e i repubblicani conta solo il potere, non come vi sono giunti) Poi? Sarà peggio di quando era presidente la prima volta e per farlo si avvarrà dello “spoils system” (la sostituzione di tutti i funzionari che non lo sostengono).
In definitiva i repubblicani che un tempo, giustamente, formavano il ‘Partito della Liberà’ e dello Stato di diritto, ora sono degenerati al punto di rinnegare Montesquieu e Locke, i padri della democrazia liberale, per fare di Donald Trump il “Leviathan” di Thomas Hobbes, ossia il “despota illuminato” al quale gli uomini naturali, volontariamente, hanno ceduto la loro libertà di giudizio sul bene e il male, sul giusto e l’ingiusto, in quanto è il loro protettore contro tutti i pericoli e il garante delle loro legittime soddisfazioni della vita che però, fatalmente, populismo aiutando, sfocia in “ein Reich” (“America first”), “ein Volk” (loro, popolo degenerato) e “ein Führer” (Donald Trump) di trista memoria. Quindi sarà in gioco l’Occidente: Abraham Lincoln si rivolterà nella tomba, ma per Putin che manna! Allora? Allora, anche perché nella geopolitica di tutto il mondo regnano la confusione, la contraddizione e l’incertezza, quindi la paura, parafrasando Puskin in “Anni della mia primavera”, più che mai vanno invocati gli “anni dell’Europa ‘des Lumières’ … tornate”!