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Elettricità, cambiare rotta!

(Ti-Press)

‘laRegione’ ha di recente ospitato alcuni contributi sulla Società elettrica sopracenerina (Ses), rilanciati negli ultimi giorni dalla pubblicazione degli straordinari (e di fatto scandalosi) risultati finanziari della Ses. Scandalosi perché frutto di una selvaggia speculazione sui prezzi del mercato liberalizzato dell’energia elettrica, totalmente scaricati sugli utenti, che hanno permesso alla Ses di addirittura migliorare il proprio risultato d’esercizio (con un consumo in diminuzione!) e di garantire alla proprietà, Comuni e Cantone, un dividendo maggiorato. Ma la Ses non è un’eccezione. La stessa politica è stata adottata anche dalle Ail Sa di Lugano. Sicuramente i risultati 2023 saranno estremamente positivi per l’azienda e per la Città di Lugano. Se allarghiamo l’analisi, vedremmo che quasi tutte le aziende di distribuzione ticinesi hanno aumentato in maniera importante le tariffe in questi ultimi due anni.

Stabilità finanziaria, profitti, dividendi, riserve e accantonamenti plurimilionari, il tutto garantito sfruttando centinaia di migliaia di utenti inermi davanti a politiche aziendali in molti casi – Ses e Ail Sa in prima fila – degne delle società capitaliste più voraci. Dal 2009 al 2024, tutt’e undici le società di distribuzione hanno aumentato i prezzi, con una media cumulata del 54,12% (categoria H4, prodotto standard)…

Per tornare alla Ses, è successo esattamente il contrario di quanto Bruno Storni, che di recente ha commentato proprio su ‘laRegione’ la situazione, immaginava al momento della discussione in Gran Consiglio (2014) sull’acquisizione della maggioranza delle azioni della Società: “Dopo decenni di politica di massimizzazione dei profitti, che ha frenato l'ammodernamento della rete, oggi si può ripartire e rinnovare, realizzando quanto richiede e richiederà in futuro una gestione efficiente della distribuzione di energia elettrica… I Comuni dovranno capire che un servizio pubblico non ha lo scopo di far utili ma deve semplicemente autofinanziarsi e far servizio pubblico nel miglior modo possibile”. Pensando all’esperienza negativa vissuta combattendo, con successo, il tentativo di privatizzare l’azienda elettrica di Bellinzona, avevo in quello stesso dibattito espresso dubbi su tale ottimismo, conoscendo gli orientamenti prevalenti tra gli amministratori comunali: “Ignoriamo quali scenari, tra qualche anno, ci riserverà tale decisione, ma non siamo per nulla ottimisti, in particolare pensando alle scelte strategiche di fondo (non quelle delineate nelle belle intenzioni) che dovranno essere attuate al momento venuto, magari dovendo stanziare risorse finanziarie”. Lo stesso Storni ha dovuto ammettere, poche settimane fa: “Quindi dieci anni di gestione aziendale non trasparente, che non si addice a un servizio pubblico al 100% di proprietà pubblica. Si è passati dalla padella alla brace”.

Bisogna cambiare paradigma, e subito. In gioco c’è la soddisfazione di un bene fondamentale – l’uso dell’energia elettrica – da tempo trasformato in una merce trattata – comprata e venduta – in mercati liberalizzati, privi di qualsiasi controllo (sociale e politico). Una merce che è insostituibile e perciò acquistata indipendentemente dal suo prezzo, fonte di profitti costanti e, in certe circostanze, di sovraprofitti. Queste caratteristiche fanno sì che anche a livello ticinese le aziende di distribuzione siano diventate un vettore importante di creazione di ricchezza, anche se questa è garantita spremendo costantemente la popolazione, un’utenza che non ha alternative per soddisfare il proprio bisogno di energia elettrica.

Abbiamo tentato, in vari modi (con una risoluzione a Bellinzona, con una petizione a Lugano), di chiedere una diminuzione o, almeno, una moratoria delle tariffe elettriche. Ma questa rivendicazione non ha raccolto il consenso né dei partiti borghesi, né della sinistra (il portavoce del Ps in Consiglio comunale a Bellinzona l’ha definita una proposta “di destra”). L’unica speranza è nella mobilitazione delle cittadine e dei cittadini che facciano sentire la loro voce, chiedendo il ritorno almeno alle tariffe del 2022, applicando se necessario le misure previste dalle leggi (sconti per esempio). Questo vale soprattutto per le più ricche società di distribuzione, le stesse che hanno registrato anche l’aumento più elevato dei prezzi e che godono di una ricchezza patrimoniale crescente.

In secondo luogo, è necessario un controllo politico e pubblico sulla politica di approvvigionamento applicata da queste società di distribuzione, impedendo loro operazioni speculative sui mercati liberalizzati, utili solo a consolidare il loro margine di profitto. Senza questi meccanismi elementari (ancora insufficienti), s’imporrà anche nel settore dell’energia elettrica il meccanismo deleterio dei premi di cassa malati in perpetuo aumento.

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