Eppure al signor Palomar avevano assicurato che a Lugano, cittadina lacustre della Svizzera meridionale, regnassero l’ordine, il rispetto e la bellezza, valori tipicamente svizzeri.
È vero che il signor Palomar, uomo taciturno, riesce a intercettare segnali fuori da ogni codice, ma qui, a Lugano, gli riesce fin troppo facile in quanto nessun codice – né quello della creanza, né quello dell’estetica e nemmeno quel del buon senso – è dato.
Chi scende dalla stazione ferroviaria verso il centro storico – Palomar viaggia quasi sempre con i mezzi pubblici – inevitabilmente si imbatte in quella che, non molto tempo fa, si chiamava Piazza Cioccaro, ma che oggi, per assecondare il pensiero mainstream del Municipio, la gente la chiama Piazza Gabbani; così come Piazza Dante viene chiamata dagli autoctoni Piazza Innovazione o Piazza Manor. Palomar capisce subito che non potrà muoversi solo con Google Maps, ma dovrà rivolgersi a qualcuno del luogo, che conosce gli umori della città. Palomar è parigino, ma il francese è lingua corrente in Svizzera, dunque, si sente a cavallo.
Palomar è un personaggio che scruta tutto ciò che gli capita sotto gli occhi con ossessiva precisione. Non gli sfugge, ad esempio, che Piazza Cioccaro, cioè Piazza Gabbani, è una bella piazza nobilitata da uno splendido palazzo neoclassico dal color rosa antico, come i dadi di porfido, che ne delimitano il perimetro; ma non riesce a capacitarsi come si possa rovinare questa bellezza con una piattaforma posta nel bel mezzo della piazza per alloggiare tavolini, piante mediterranee e ombrelloni generosamente a disposizione di chi paga.
Palomar, seppure un poco disturbato da questo pensiero, prosegue verso il centro città. Le case dell’area pedonale sono ornate da portici, utili soprattutto quando piove o il sole è troppo caldo. Il nostro turista nota, anche qui con dispiacere e un pizzico di fastidio, che alcuni passaggi pubblici sono stati trasformati in Wintergärten commerciali (nome che ha imparato a Berna, dove i portici, i famosi Lauben, sono patrimonio Unesco, come tutta la città), che di fatto impediscono ai pedoni il loro attraversamento. E non sono pochi e, come Piazza Gabbani, sono solo a disposizione dei clienti. Per scrupolo di precisione, Palomar ha segnato sulla cartina della città questi porticati collettivi privatizzati da intraprendenti esercenti: via Gerolamo Vegezzi (“Mauri Conceept”), Via Canova (“Prosciutteria Lino”), Via della Posta (“La Dispensa”) e così via. Il Nostro si porta (come direbbe un agente di pubblica sicurezza) nella Piazza più importante della città, Piazza della Riforma, dove sorge il Palazzo civico costruito dal famoso architetto neoclassico milanese Giacomo Moraglia, lo stesso che disegnò il Teatro sociale di Bellinzona. Palomar ha un vago ricordo dell’edificio pubblico bellinzonese, ma sufficiente per ricordare una costruzione pulita, classica, posta nella centralissima Piazza del Governo. Non come il Palazzo Civico che gli sta di fronte, guastato da due strutture in ferro e vetro costruite a ridosso dello stesso: altri Wintergärten. Palomar prende nota di tutto; egli è un osservatore attento, con uno spiccato senso del bello; vorrebbe scrivere all’autore del curioso e interessante volumetto intitolato ‘Lugano la bella sconosciuta’ per comunicargli le sue impressioni, ma sa benissimo che le sue sono impressioni di giornata, dunque non meritevoli di particolare interesse.
Il giorno volge ormai al tramonto e Palomar medita di far ritorno al suo albergo. In Piazza Dante, o Innovazione come dicono i patrizi, assiste a una scena che lo amareggia: due agenti comunali impongono a due artisti di strada di far fagotto, di rinchiudere chitarra e fisarmonica nei rispettivi astucci. Tuttavia sono proprio loro, gli artisti di strada, che rallegrano vie e piazze senza chiedere soldi se non dati spontaneamente. A Parigi una cosa simile non succederebbe; forse con i venditori ambulanti, ma certamente non con gli artisti di strada. A Lugano – ça va sans dire – Edith Piaf non avrebbe potuto affascinare con la sua magnifica voce i passanti. Quel dommage!
Lo scuote dai suoi cupi pensieri un forte grido: foeu di ball! Palomar non sa se il signore, si fa per dire, apostrofi lui o i due artisti ambulanti o i due gendarmes. Non sa, ma capisce. E si indigna.