Di pareri discordanti sullo sciopero odierno ne sono stati formulati a iosa e di ogni genere, perciò è inutile qui riprendere il discorso. Massimo rispetto per chi sciopererà e altrettanto rispetto per chi non lo farà e continuerà a battersi in altro modo.
Un’unica realtà incontrovertibile. Questa forma di protesta prende le mosse dall’indigeribile e doloroso esercizio di risparmio proposto dal governo che, va pur detto, ha proposto misure che non brillano certo per sincerità o lungimiranza o credibilità. Nonostante la relativa limitatezza degli argomenti proposti, l’operato del governo dapprima e del parlamento poi non può sottrarsi a un pessimo giudizio globale. Anzi, lo spiacevole scarico di responsabilità, attribuendo le proprie scelte all’indicazione della volontà popolare, deve fare riflettere.
La scelta tra una politica orientata alla sensibilità sociale e alla solidarietà, oppure una politica atta a distruggere la classe media, favorendo la divaricazione sempre più ampia tra le condizioni di vita di pochi superprivilegiati e quelle di una fascia sempre più cospicua di diseredati, non composta solo dai tradizionali “poveri”, ma anche da lavoratori qualificati o addirittura specializzati che si vedono sempre più immiseriti nel proprio potere d’acquisto, non consente più scappatoie di sorta.
Di una cosa siamo sicuri. Le grandi mobilitazioni sindacali degli ultimi mesi, con il loro implicito significato di diffusa ribellione, faranno da spartiacque. La politica dovrà realmente interrogarsi sulla volontà che lo Stato sia un servizio di pubblica utilità (che garantisca a tutti formazione, prestazioni sanitarie, sicurezza personale) oppure uno strumento a disposizione di pochi per assicurarsi sempre maggiori facilitazioni d’arricchimento personale.