Verso la fine del 2023, la Guardia di finanza ha dato avvio a un’attività d’indagine nei confronti dei lavoratori frontalieri titolari di Società a garanzia limitata (Sagl) in Ticino. Il motivo dell’indagine è dovuto al fatto che la Guardia di finanza ritiene che questi frontalieri in realtà siano dei lavoratori autonomi imponibili in Italia. La Sagl, a loro modo di vedere, costituirebbe uno strumento finalizzato a ottenere un risparmio in termini d’imposte italiane. Secondo la ricostruzione dell’Amministrazione finanziaria italiana, infatti, i contribuenti finiti nel mirino di quest’attività d’indagine non sarebbero dei reali lavoratori dipendenti della società costituita in Svizzera, perché essendone loro stessi i titolari non esisterebbe un reale vincolo di subordinazione che, per natura, qualifica un rapporto di lavoro dipendente. Il frontaliere, quindi, non sarebbe più tale e verrebbe negata l’imposizione esclusiva in Svizzera del reddito da attività lucrativa dipendente ai sensi dell’Accordo fiscale sui frontalieri. Diversamente, il frontaliere sarebbe un lavoratore indipendente che, residente in Italia, svolge la propria attività oltre frontiera. Secondo questa ricostruzione, il lavoratore non sarebbe più coperto dalle disposizioni dell’Accordo fiscale dei frontalieri. Si applicherebbero, quindi, le norme ordinarie, con l’Italia che si troverebbe a poter esercitare il proprio diritto di tassare, riqualificando il reddito del lavoratore (da lavoro dipendente in autonomo/indipendente) e applicando le norme interne italiane che, come è noto, prevedono un carico d’imposta assai maggiore. Se non fosse sufficiente, secondo questa impostazione, queste pretese varrebbero non solo per il periodo fiscale in corso, ma anche per quelli addietro, nei limiti dei termini di prescrizione previsti dal diritto interno italiano. Inoltre, si devono aggiungere le sanzioni amministrative e, soprattutto, penali nonché gli interessi di ritardo. Eppure questa prassi, di lavoratori dipendenti frontalieri, titolari di una Sagl in Svizzera, non è certo una novità ed esiste da anni. E, oltre a non essere una novità, è legata al necessario rispetto di requisiti previsti per l’esercizio di alcune professioni da leggi interne svizzere. Infatti, secondo la prassi consolidata, ma comunque dibattuta, del Tribunale federale, gli azionisti unici o i soci e gerenti impiegati nella propria Sa o Sagl sono considerati dei lavoratori dipendenti. In altre parole, la prassi qualifica il reddito, nel caso di persone che lavorano nella propria società, quale entrata economica dovuta a un rapporto di lavoro dipendente. Quel che è certo è che ci troviamo di fronte all’ennesima iniziativa unilaterale presa dall’Italia che, noncurante tanto dell’esistenza delle norme di diritto svizzero, quanto dell’esistenza della Convenzione contro le doppie imposizioni sottoscritta dai due Paesi, nonché delle diverse dichiarazioni congiunte e intese politiche, viene a pretendere non solo di imporre, ma di riqualificare i redditi di contribuenti che fino a ora hanno versato regolarmente le imposte in Svizzera applicando anche le sanzioni. In questo nuovo scenario si verificherebbe, quindi, un caso di doppia imposizione che andrebbe a colpire in maniera importante questi contribuenti che, inconsapevoli di questo scenario, hanno ingenuamente e sinceramente risposto alle domande della Guardia di finanza. Oltre al danno, la beffa. Se, infatti, questo approccio è l’ulteriore riprova della visione italiana, dove la Svizzera, ancora una volta, non si è mai allontanata da quella black-list, è lecito chiedersi quanto segue: che fine faranno i ristorni che il Ticino ha versato per tutti quei frontalieri che ora dall’Italia frontalieri non sono considerati più? Se, come i due Paesi lasciano intendere, la nuova era delle relazioni italo-svizzere dovrebbe essere ispirata al dialogo tra Berna e Roma, a noi, questo, sembra piuttosto un monologo.