I dibattiti

Blues per il Giorno della Memoria

(Ti-Press)

Il 27 gennaio del 1945 l’Armata Rossa entrò ad Auschwitz, liberò i sopravvissuti, mise fine all’Olocausto. È diventato il Giorno della Memoria: quel dramma indicibile deve essere ricordato perché non deve essere ripetuto. Primo Levi ci ha ammonito: “Può ancora succedere, perché ciò che è accaduto fu opera di uomini come noi”.

Il Giorno della Memoria cade quest’anno in un momento inquietante per una tripla violenza che coinvolge gli ebrei. Quella barbara di Hamas del 7 ottobre: 1’200 israeliani trucidati in un giorno e 240 civili catturati come ostaggi. Quella “scientifica” di Israele a Gaza: 25'000 palestinesi (10'000 bambini) uccisi in tre mesi; centomila abitazioni, scuole, ospedali, moschee, chiese distrutte per rendere Gaza inabitabile e spingere i palestinesi all’auto-deportazione (lo dice lo storico israeliano Shlomo Sand: Le Temps, 16.1.24). Quella della nuova inaccettabile ondata di antisemitismo, ben documentata da Marzio Molinari su Repubblica (9.1.24). Scrive: “Le minoranze ebraiche che vivono fra San Francisco e Sidney, New York e Londra, Parigi e Milano, sono state oggetto di aggressioni fisiche alle persone e alle proprietà, offese pubbliche e campagne di odio sui social network che hanno risvegliato i peggiori fantasmi del passato”.

Molinari non è però convincente quando spiega il fenomeno e amalgama impropriamente le proteste pubbliche contro la furia distruttiva dell’esercito israeliano e gli atti di intolleranza antiebraici. Trascura un dato che può spiegare perché le proteste contro Israele tracimano verso le comunità ebraiche e scadono talvolta nell’odio antigiudaico: le comunità ebraiche di America, Australia ed Europa non dicono una parola contro la vendetta (che non è diritto alla difesa) d’Israele verso i civili palestinesi ammucchiati a Gaza dopo essere stati scacciati dai territori occupati. Avallano anch’esse l’accusa che Hamas utilizzerebbe i civili come scudo. Ma come si può pretendere, in una regione poco più grande del Luganese (360 km2 contro 308) con un numero di abitanti 16 volte più elevato (2,4 milioni contro 147’000), che i combattenti stiano da una parte e i civili dall’altra? Tanto più se si ingiunge alla popolazione di Gaza di concentrarsi al sud, e poi lo si bombarda dopo avere raso al suolo il nord.

Molinari sbaglia poi a ritenere che chi protesta identifica Hamas con il popolo della Palestina e ritiene quindi che “il 7 ottobre è un pogrom legittimo perché Hamas si batte per i diritti dei palestinesi”! Vi è certo qualche fanatico o sprovveduto che sostiene Hamas, la cui Carta fondativa del 1988 (superata in parte nel 2017) comprende presunte parole del Profeta davvero sinistre se non contestualizzate: “L’Ultimo Giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno”. Il contesto era la minaccia fatale di tribù ebraiche e arabi politeisti contro Maometto e i suoi.

Quello di Hamas è un approccio messianico e apocalittico, simile a quello di israeliani con “un’ideologia ebraica messianica, razzista e fondamentalista che non solo ritiene che la Palestina appartenga solo al popolo ebraico (…), ma che pensa di avere la licenza morale di uccidere ed espellere tutti i palestinesi” (Ilan Pappé, storico israeliano, Naufraghi.ch 6.12.23).

Il Giorno della Memoria 2024 sarà dunque deprimente. Non si vede per ora che buio e morte. La destra che governa Israele non crede nella soluzione a due Stati. Si appropria a suo modo del noto slogan “From the river to the sea, Palestine will be free”: per lei significa liberare la Palestina... dai palestinesi. Per Hamas liberarla dai colonizzatori ebrei. Per gli idealisti significa una Palestina unitaria e laica, dove ebrei e arabi vivono e collaborano in pace e libertà. Ma per ora (il futuro non è mai scritto...) il sogno si è tramutato in incubo. Rimane solo ciò che sembra il melanconico ritornello di un Blues, non del Far West, ma del Middle East: “From the river to the sea...”.