l'ospite

Bobbio riletto su guerra e pace

Norberto Bobbio
(Wikipedia)

Vale la pena, in questi tempi calamitosi, di riprendere in mano gli scritti che Bobbio ha dedicato al "problema della guerra e le vie della pace" (titolo di una sua raccolta di saggi edita dal Mulino nel 1979). E questo perché quanto sta succedendo in Ucraina e nella Striscia di Gaza non smette di interrogarci sulle ragioni e la legittimità di queste due catastrofi militari e umanitarie. Altri conflitti sono in corso nel mondo, ma non arrivano sui nostri teleschermi e non indignano l’opinione pubblica occidentale.

Bobbio si dedicò alla questione fin dagli anni Cinquanta del secolo scorso, sull’onda delle discussioni che accompagnavano la corsa agli armamenti e lo sviluppo dell’arma nucleare. In quella fase il professore torinese ritenne che la questione della "guerra giusta" (giusta perché difensiva) non fosse più all’ordine del giorno, poiché la bomba atomica, qualora fosse stata impiegata dall’una o dall’altra parte, avrebbe comportato la distruzione immediata di entrambi i contendenti: "La guerra atomica annulla la distinzione tra guerra giusta e guerra ingiusta, perché rende impossibile uno dei due termini: la guerra di legittima difesa. La guerra atomica sembra non ammettere che un solo tipo di guerra: quella del primo attaccante" (1962).

"L’equilibrio del terrore", instabile ma efficace sul piano delle relazioni tra le due superpotenze (Stati Uniti e Unione Sovietica), di fatto riuscì a impedire lo scoppio di una nuova guerra mondiale, la terza, in base alla formula "pace impossibile, guerra improbabile". Ma dopo il crollo del muro di Berlino le coordinate mutarono, soprattutto all’indomani dell’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq guidato da Sadam Hussein (agosto 1990). In base al diritto internazionale l’occupazione del piccolo Stato nel Golfo persico rientrava nella casistica della guerra d’aggressione e quindi come tale sanzionabile militarmente. Bobbio aderì ai provvedimenti decisi dalle Nazioni Unite, avendo però cura, com’era suo costume, di porre alcune condizioni: "I problemi sono due: se la guerra sia giusta e, se oltre che giusta, sia efficace. Per quanto riguarda il primo problema la risposta è indubbia: è una guerra giusta perché è fondata su un principio fondamentale del diritto internazionale che è quello che giustifica la legittima difesa. Per quello che riguarda invece il secondo punto, l’efficacia, bisogna tenere conto di alcune condizioni: la guerra sarà efficace innanzi tutto se è vincente; in secondo luogo, se è rapida rispetto al tempo e se è limitata nello spazio, nel senso che sia ristretta al teatro di guerra dell’Iraq".

Queste dichiarazioni, espresse da un filosofo considerato fino a quel momento un pacifista a tutto tondo, sconcertarono la comunità scientifica: molti colleghi ed ex allievi – tra cui Danilo Zolo, Marco Revelli, Luigi Ferrajoli, Domenico Losurdo – non tardarono a manifestargli il loro dissenso attraverso lettere e appelli accorati. Obiezioni ("per principio non esistono guerre giuste") che tuttavia non indussero il maestro a recedere dalle sue posizioni. "Mi ha addolorato il dissenso sul caso specifico, il giudizio sulla guerra del Golfo, che per me è da considerare una guerra giusta, anzi un caso esemplare di guerra giusta, nel senso che viene dato a questo termine nel diritto, nel senso cioè che è giusta la guerra che, pur sempre come extrema ratio, ma in questo caso l’extrema ratio era evidente, si oppone a una guerra d’aggressione, in base al principio, che è morale ancor prima che giuridico, valido tanto nel diritto interno quanto nel diritto internazionale, secondo cui l’uso della forza è sempre illecito salvo nel caso in cui la forza è impiegata per rispondere alla forza altrui". Compiuto questo passo, inevitabile secondo Bobbio, occorreva ragionare sulle conseguenze: "I governanti non possono attenersi all’etica delle buone intenzioni e dire: la ragione è dalla nostra, quindi siamo liberi di agire. Devono anche obbedire all’etica della responsabilità, valutare le conseguenze delle proprie azioni. Ed essere pronti a rinunciarvi, se queste azioni rischiassero di produrre un male peggiore di quello che si vuole combattere. La riparazione del torto non deve diventare un massacro". Un ragionamento analogo a quello svolto nelle stesse settimane da Jürgen Habermas: "In primo luogo la controversia riguarda la proporzionalità nella condotta di una guerra che già da ora, come si deve ammettere, è causa di migliaia di morti innocenti e di feriti inadeguatamente assistiti. Il Comitato internazionale della Croce Rossa, in una dichiarazione pubblica, si richiama al fatto che il diritto di scegliere metodi e mezzi nella condotta della guerra non è per nulla illimitato" (‘Guerra legittima, ma…’, l’Unità, 20.02.1991).

Ed eccoci, con quest’ultimo passaggio, alle guerre odierne, in particolare all’offensiva israeliana per annientare Hamas nella Striscia di Gaza. Una reazione che l’opinione pubblica occidentale ha giustificato come risposta al torto subìto (il pogrom del 7 ottobre) ma che ora lascia interdetti per le dimensioni che ha assunto (oltre ventimila morti palestinesi, tra cui migliaia di bambini). È significativo che anche il già citato Habermas sia tornato sul tema della proporzionalità della risposta armata e sull’ecatombe di vittime civili in relazione a una possibile pace futura nel vicino Oriente (‘Grundsätze der Solidarität. Eine Stellungnahme’, 13 novembre 2023).

Quest’anno cadono i trecento anni dalla nascita di Immanuel Kant (1724). È un’ottima occasione per riaprire un suo aureo libretto, pubblicato nel 1795 sotto il titolo Per la pace perpetua (‘Zum ewigen Frieden’). Introducendo una traduzione italiana di questo testo curata da Nicolao Merker (Editori Riuniti, 1985), Bobbio ebbe modo di evidenziare l’acutezza con cui il filosofo di Königsberg aveva affrontato la questione in un’ottica di pacifismo giuridico: "… le sue idee restano fra le più audaci e illuminanti che mai siano state concepite sul grande tema e costituiscono ancora oggi una base di discussione e un sicuro orientamento per chiunque sia convinto che il problema della eliminazione della guerra è diventato il problema cruciale del nostro tempo".

Kant e Bobbio: un buon motivo per rileggere entrambi.