Oggi vorrei scrivere di umanità. Beninteso, l’economia politica dovrebbe occuparsi di umanità, ma da molti decenni sembra averlo dimenticato, preferendo modelli asettici e “scientifici”. Comunque, vorrei parlare di due donne: Anna Possi e Chiara Ferragni, che hanno 63 anni di differenza. Fino a poco tempo fa non avevo sentito nominare nessuna delle due. Anna Possi l’ho “conosciuta” grazie a un servizio del Tg della Rsi nel giorno di Natale. È una signora di 99 anni, che lavora ancora tutti i giorni nel suo bar sul lago Maggiore, che ha fatto l’ultima vacanza nel 1955, legge ancora senza occhiali, naviga su internet, sembra faccia anche ogni giorno investimenti in Borsa e non guarda mai la televisione perché “ci sono solo cose brutte”. Chiara Ferragni è un’influencer (termine orribile) italiana che ha milioni di follower (termine ancora più orribile) che quotidianamente la seguono sui social media e quindi largamente conosciuta dai più. È diventata famosa nelle ultime settimane perché sembra abbia sfruttato la sua notorietà per vendere panettoni, il cui ricavato doveva andare in beneficenza, mentre è finito soprattutto nelle sue tasche. Secondo la Treccani un/una influencer è un “personaggio di successo, popolare nei social network e in generale molto seguito dai media, che è in grado di influire sui comportamenti e sulle scelte di un determinato pubblico”. Insomma, una persona specializzata nel lavaggio del cervello, che riesce a farti comprare quei prodotti per i quali riceve una percentuale. Un po’ come i rappresentanti che le nostre mamme cercavano di evitare come la peste, perché se fossero riusciti a entrare in casa avresti potuto liberartene solo acquistando qualcosa.
Anna e Chiara, due donne molte diverse, di due epoche molto diverse. La prima vende caffè ai suoi clienti che conosce quasi tutti per nome, la seconda non conosce la stragrande maggioranza dei suoi seguaci, ma riesce comunque a fare in modo che comperino prodotti che probabilmente non utilizzeranno mai. Esprimere un giudizio su queste due donne, soprattutto sulla seconda, è oggettivamente difficile e si potrebbe facilmente cadere nella banalità. Chiaramente la mia preferenza va alla prima, anche, forse, per un problema di età. Tuttavia qualcosa, dal punto di vista economico, penso lo si possa dire. La maggior parte degli influencer che hanno un numero significativo di seguaci riesce a guadagnare cifre importanti (milioni) promuovendo prodotti, che possono essere vestiti, gadget di vario tipo e destinazioni turistiche. L’esempio forse più conosciuto è quello della fast fashion, cioè essenzialmente vestiti a basso prezzo e di bassa qualità venduti per poche decine di euro, spesso mai indossati, e prodotti da operai sottopagati e in condizioni di semi-schiavitù. Naturalmente questo aspetto non viene mai evidenziato dagli influencer per ovvi motivi. Ma la gamma di cianfrusaglie promosse sui social media è molto vasta. L’aspetto più preoccupante di questo mondo dell’effimero è che queste persone non si limitano a promuovere prodotti, ma azzardano anche opinioni politiche e morali, che possono avere ripercussioni non trascurabili anche perché, nella maggior parte dei casi, hanno poco in comune con (tanto per fare due esempi conosciuti) Rita Levi-Montalcini o con Noam Chomsky. Naturalmente ci sono diversi livelli di influencer. Perlomeno Chiara Ferragni è relativamente trasparente nella sua banalità, ma ne abbiamo altri che invece possono determinare catastrofi immani come il futuro (ed ex) presidente degli Stati Uniti.
Perlomeno la signora Anna, alla fine del servizio del Tg, ci gratifica con una piccola perla di saggezza: “La felicità non si raggiunge mai, al massimo possiamo trovare la serenità”. Lei non ha evidentemente molti follower: al massimo una cinquantina che vanno ogni giorno al suo bar, il che è indubbiamente un pregio.