Andrea Ghiringhelli, lo scorso 28 novembre, sulle colonne di questo giornale ha pubblicato delle interessanti riflessioni sulle ragioni delle difficoltà del Plr. Nel suo stimolante testo ‘Appunti sparsi sul partito smarrito’, l’ex direttore dell’Archivio cantonale afferma che il problema del Plr consiste nell’avere smesso di dibattere da decenni, aver abbracciato il pensiero unico neoliberista e dimenticato l’interclassismo. Per risorgere, sempre secondo Ghiringhelli, gli ci vogliono idee forti che “recuperino con coerenza un sapiente equilibrio fra libertà, giustizia sociale e solidarietà”. Che servano idee forti, o anche solo buone, è un fatto e gli interventi pubblici come quello del prof. Ghiringhelli sono benvenuti. Se però la cura del male nasce da una diagnosi sbagliata temo che, purtroppo, si vada poco lontano. Ad esempio additando il famoso “neoliberismo”, diventato per molte parti politiche quello che lo statalismo è a lungo stato per molte altre: un modo per dividere buoni e cattivi che accomuna ormai nazionalisti, tradizionalisti, ecologisti e socialisti. Il tema, comunque la si pensi, meriterebbe perlomeno un approccio meno militante e segnalo, al proposito, il libro recente di Alberto Mingardi ‘La verità, vi prego, sul neoliberismo’.
Se si auspicano idee nuove, soprattutto se le si cercano con metodo liberale, è meglio non partire da premesse forse consolanti ma di scarso significato. Né pensare che basti evocare il recupero di quello che Ghiringhelli chiama “sapiente equilibrio tra libertà, giustizia sociale e solidarietà”. Un obiettivo nobile (e invero neppure esclusivamente liberale, si pensi al cattolicesimo sociale o alle socialdemocrazie), ma la difficoltà non è rimpiangerlo o proclamarlo bensì concretizzarlo in società liquide e multiculturali, economie aperte e competitive, scenari comunicativi mai visti prima, vittimismi, collere e populismi ogni dove, capri espiatori sempre pronti, flussi migratori inquietanti, timori identitari diffusi, privacy in via di sparizione e potrei continuare.
In questo scenario mi sembra semplicistico sostenere che il guaio dei liberali ticinesi sia il neoliberismo. Due dati: la spesa pubblica annua nel nostro Cantone era nel 1995 di 2,1 miliardi e ora raggiunge il doppio con ben 4,2 miliardi. Il rapporto in Svizzera tra spesa pubblica e Pil supera il 30%. Come si fa dunque a credere che il problema sia, appunto, il neoliberismo in genere o quello del Plr in particolare? Dove sta il trionfo neoliberista?
Ghiringhelli ha ragione quando sostiene che servano visioni forti di futuro e direi, se possibile, anche di presente. Soltanto che non basta per provarci iniziare con il dire che è tutta colpa del pensiero unico neoliberale. Non è un soffocante pensiero unico a metterci in difficoltà bensì, piuttosto, la scarsità di pensieri in circolazione. E di coraggio, in un Ticino dove non si riesce a riformare alcunché senza scontentare nessuno, perciò si rimane fermi aumentando il debito dello Stato ma non la sua efficienza, solo per fare un esempio.
Concludo: sempre che non si simpatizzi per scorciatoie autoritarie è solo con metodo liberale che è possibile governare le moderne società democratiche, complesse, pluralistiche e spesso conflittuali. Eppure, proprio in molte di queste società, i partiti liberali faticano o addirittura non sopravvivono. Tocca quindi a chi crede nella libertà e nella solidarietà proporre le famose soluzioni pragmatiche e gli altrettanto celebri compromessi ragionevoli, ma anche impegnarsi attivamente in un partito liberale radicale in grande difficoltà ma con la possibilità di risollevarsi.
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Ci vorrebbero paginate per discutere con la gentile e colta interlocutrice. Non sono date.
Mai detto che il neoliberismo e il pensiero unico siano il solo male che dagli anni 80/90 dello scorso secolo ha fatto deragliare il partito liberale radicale. Ce ne sono altri. C’è anche la mediocrità del personale di scarsa cultura politica (con le dovute e doverose eccezioni). Di questi tempi – si ripete – “l’eccellenza è la mediocrità”: abbondano i cespugli nei partiti e sono rari gli alberi ad alto fusto. Negare però che l’infatuazione del trickle down non abbia impregnato il partito mi pare azzardato, come azzardato affermare (come sostiene il liberista Alberto Mingardi) che è “a quel poco di neoliberismo (sic) che dobbiamo crescita e prosperità”: già, ma a beneficio di chi? Di tutti? O solo di quelli che stanno su?
Io credo che sia piuttosto complicato conciliare liberalismo con liberismo: un ossimoro evidente. La penso come Pierre Rosanvallon: il pensiero unico del neoliberismo ha sferrato un attacco frontale alle fondamenta della liberal-democrazia e al principio di inclusione. I risultati si vedono e sono sconsolanti e il partito liberale ha le sue responsabilità e l’autocritica non mi pare un esercizio molto in voga.
Poi sul problema della qualità dei dibattiti e sulla confusione all’interno del partito liberale radicale, o liberista che dir si voglia, credo che la gentile interlocutrice e io la pensiamo allo stesso modo, seppur collocati su sponde diverse e lontane: c’è tanta confusione, si tenta di amministrare il presente senza nessuna plausibile visione del futuro.
Andrea Ghiringhelli