Vorrei unire tre temi apparentemente distanti ma che non lo sono poi tanto: la cocciutaggine del Ps, le difficoltà del settore industriale ticinese e la fuga dei giovani dal Ticino.
L’idea che il Ps sia cocciuto mi è venuta guardando un breve dibattito tra Ivo Durisch e Paolo Pamini sul tema del preventivo di bilancio per il prossimo anno. Durisch ha difeso con logica che i tagli nel sociale non si devono fare perché una parte del paese è sempre più in difficoltà. Lo ha fatto con successo, tant’è che Pamini (che tra i B-boys è l’oratore più brillante) ha avuto alcuni tentennamenti. Mentre seguivo il dibattito mi chiedevo: ma perché tanto impegno a difendere gli interessi di una parte verosimilmente consistente di elettori che hanno dato la preferenza al duo Udc-Lega? Non sarebbe forse meglio se la direzione del Ps rilasciasse un comunicato del tipo: “Cari ticinesi, avete votato la destra e l’estrema destra con il risultato che ora ci troviamo nella situazione in cui ci troviamo. Il Ps (e la sinistra), non avendo i numeri per invertire la tendenza, si astiene dal votare il preventivo e questo fino a quando non avremo maggiori possibilità di successo”. A questo punto la palla passerebbe completamente nel campo della destra, che invece di continuare a sparare giudizi, dovrebbe rimboccarsi le maniche e affrontare concretamente i problemi. Troppo facile dire che le loro idee non possono concretizzarle perché le altre forze politiche si oppongono. Il “popolo sovrano” potrebbe così verificare chi è che difende i valori svizzeri al 100%. Solo allora le forze “progressiste” (preferirei definirle sensate) potrebbero tornare a fare una politica seria, forze che non sono solo a sinistra ma anche tra il Centro e magari anche un qualche radicale del Plr (se esiste ancora) potrebbe ricordarsi quali fossero i principi base del pensiero liberale.
Il secondo punto è quello delle possibili difficoltà del settore terziario che sembra sia confrontato con una serie di licenziamenti, seppure non ancora del tutto preoccupanti. Ricordiamo che il settore industriale rappresenta da sempre una base importante e stabile (attorno al 30%) dell’occupazione e contribuisce non poco alla ricchezza del Cantone. Nella maggior parte dei casi si tratta di imprese piccole e medie, che però hanno saputo conquistare il loro mercato: locale, nazionale e internazionale. Il dato interessante è che negli ultimi 20 anni il numero dei frontalieri nel settore secondario è aumentato pochissimo rispetto a quanto è successo nel terziario, segno questo che le imprese non puntano solo alla contrazione del costo della manodopera. Alcuni anni fa mi ero occupato del mondo industriale e avevo potuto constatare che gli stipendi erano tutt’altro che bassi. Tuttavia anche questo settore è in difficoltà, come ha messo in evidenza alla Rsi il direttore dell’Associazione industrie ticinesi, Stefano Modenini, il quale ha detto (riassumo): “Certo, la fiscalità è importante ma forse non è l’aspetto più rilevante. In questo cantone manca una seria politica industriale”. Condivido appieno e, scusate l’autoreferenzialità, lo avevo spiegato anche in un libro già nel 2007 e in diversi articoli su questo quotidiano. Non entro quindi nel merito ma forse sarebbe ora di affrontare seriamente il problema.
L’ultimo elemento è quello della fuga dei cervelli e dei giovani ticinesi che quando escono dal Ticino difficilmente vi fanno ritorno. I motivi sono conosciuti: salari più bassi, scarse opportunità professionali interessanti, struttura del mercato del lavoro obsoleta e via dicendo. Questo è chiaramente un problema perché manca un vero creatore di conoscenza, che non è facile implementare in una regione di circa 300'000 abitanti. L’Università della Svizzera italiana (in quota Cl, anche se nessuno sembra ricordarlo) ha dato scarsi risultati, con delle Facoltà che hanno generato poco o nessun plusvalore conoscitivo. Il discorso è complesso e quindi mi limito a un esempio: l’Ire (l’istituto di ricerche economiche) quando era – di fatto – indipendente pubblicava regolarmente studi e analisi serie; mentre da quando è passato sotto l’Usi è praticamente scomparso e ce lo ricordiamo solo per macroscopici errori (ad esempio sull’indotto del Festival del film di Locarno). Ora è stato creato un master in medicina che sembra funzionare. Bene, ma non è sufficiente.
Perché ho voluto unire questi tre temi? Perché hanno un denominatore comune. La politica non può o non deve essere fatta solo per lanciare slogan superficiali e facili da capire. I valori svizzeri e ticinesi sono un po’ diversi da quelli dell’immigrazione: coesione, benessere della popolazione, distribuzione della ricchezza, conoscenza, ricerca scientifica; valori che hanno fatto del nostro Paese uno dei più benestanti al mondo. Da perlomeno un ventennio, invece, sembra che abbiamo perso la bussola e questo è addirittura più evidente in Ticino che nel resto della Svizzera.